Il nonno e io

nonno e bimba

Il nonno mi fa sedere vicina e gli faccio su le sigarette nelle cartine.
Gli passo i francobolli prendendoli cauta con la pinzetta e guardiamo insieme il cielo dietro la filigrana.
Gli appuntisco le matite con un coltello da vignaioli e lui tira fuori da uno dei cassetti un foglio bianco per scriverci su.
Mi passa i giornalini per ritagliare le vignette e la coccoina per incollarle sul quaderno.
Gli porto dalla cucina un tazzone di orzo tenendolo attenta fra le mani nel lungo corridoio, poi un altro giro per il pane biscottato, e per strada ne mangio le scaglie sfaldate.
Disegno per lui mentre dorme mezz’ora con la testa sulle braccia incrociate sopra la tavola e la giacca sulle spalle, e quando si sveglia andiamo di là in laboratorio e appendiamo le fantasie sul compensato con puntine nuove. Lui pialla e io pianto chiodi e dopo li scalzo con la coda del martello.
Ci succhiamo una golia per ciascuno, di quelle che ha sempre in fondo alle tasche, e stendiamo bene le cartine col dorso delle unghie prima di separarcene.
D’estate il sabato si va a guardare la tv sbucciando semi, e la domenica pomeriggio in stazione a vedere le locomotive e i ciuffi d’erba in fondo ai binari.
Qualche sera al cinema dei preti, e la nonna non viene quasi mai.

9 thoughts on “Il nonno e io

  1. Che immagini semplici e stupende,

    ma quanta nostalgia. Troppa. Soprattutto perché non è più possibile… e ormai anche mio padre se n’è andato.

    Saluti.

  2. Io i miei nonni maschi non li ho praticamente mai conosciuti. Ho conosciuto solo una nonna. E’ troppo poco. Ogni bambino dovrebbe avere diritto ai nonni. I bambini dovrebbero avere un mucchio di altre cose, per la verità.

  3. La coccoina ce l’ho anche io; ovviamente non la uso, la tengo come oggetto, cimelio, cara memoria. L’anno scorso mio fratello, viaggiando per il Canada (!!!), la trovò in un negozio e ne portò a casa un barattolino come trofeo. Ricordo che a un certo punto fu soppiantata dal più efficace vinavil, e più avanti ancora dal praticissimo UHU, ma è con la coccoina che mia mamma incollava le figurine del presepe ritagliato dal Corriere dei Piccoli, e l’ho conservato io, in una scatola di cartone fra i tesori della soffitta.

  4. il nonno mi rivelò,con grande pazienza,i primi magnifici segreti della lingua che ora parlo-non credo di essere riuscito ad esprimergli la mia gratitudine a sufficienza-ritagliava foto dai giornali e le incollava in un grande album usando una colla bianca e densa che aveva un buon odore- i nonni profumano di coccoina

  5. Scriverò anch’io di mio nonno prima o poi. Aveva tabacco e cartine in un pentolino smaltato a lato del camino. In casa sua, si riuniva il vicinato in tempo di inverno a sentirgli leggere le storie di Guerino il Meschino e i Reali di Francia. Ah, dimenticavao, era anche lui un falegname (ma anche barbiere e contadino).

    Belle cose

  6. Seh, in Canada addirittura!Io l’ho presa al supermercato.

    Se vuoi te la compro e te la spedisco pacco celere, non far complimenti!

    La scatola è uguale identica alla “nostra”, solo il pennellino in mezzo è di plastica. Ma funziona meglio, in fondo.

  7. Nonna Incoronata mi preparava ottimi decotti con mele e fichi, ma il ricordo delle sue enormi tazze di creta, di profumatissimo orzo, sarà per me indelebile. Era tanto buona quanto pia. Anche da ottantenne aveva conservato l’abitudine di recarsi nel suo paese natale, a piedi, attraverso la via vecchia del tratturo. Io e la mamma spesso la raggiungevamo presso la croce viaria di Campodipietra. A lei ciò non le faceva piacere perché, diceva, la interrompevamo a recitare le amate preghiere, da essa stessa composte, che per voto fatto da ragazza, recitava al suo amato S. Mercurio. Proferiva le sue umili preghiere ad alta voce, fino alle prime case del paese, con un grande rosario nero ed esibiva un’infinità di medagliette votive di stagno sulla “pellegrina”, come un generale, senza vergognarsene e senza avvertire fatica alcuna per la sua lunga marcia a piedi.

    Dalla nonna avevo appreso, da piccolo, una buona abitudine, quella di camminare per i viottoli dei campi con l ‘ausilio di una canna. Quando avvertivo la sete, lei faceva dei fori nella parta bassa della canna che immergendola nei pozzi, riusciva da questi ad attingere l’acqua.

    Zizì l’adorava e l’aveva costretta, suo malgrado, portandosela in città, a redimersi da umile campagnola a cittadina, senza che migliorasse minimamente sulle sue antiche abitudini contadine.

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