E festa sia

La terza domenica di luglio, a Venezia si svolge l’antica e sentitissima festa del Redentore, che ricorda la fine della tragica pestilenza che decimò la città nel 1577.

Redentore

Per la mia festa stavolta organizzo stabilisco programmo insomma ordino tutto io. Che sia esattamente quella che voglio io, perché penso di meritarmelo, anzi: ci ho messo una vita per meritarmelo.
Intanto decido il giorno. Sono stufa di essere nata in febbraio, tra il carnevale e la quaresima; che a guardar bene è uno sproposito che invece non sia nata in estate nel caldo.
Scelgo luglio che è bello, il cielo è blu il sole è giallo poi c’è il mare che scintilla eccetera. Scelgo la notte fra il terzo sabato e la terza domenica, la metà giusta della notte, quando scoppiano i fiori del Redentore sulla mia città.
E allora la festa la farò su una barca in laguna, con i lampioncini che dondolano e fluttuano disegni arancione sui visi degli invitati. L’aria mi sta bene un po’ afosa e con odore forte di canale fermo, ma non rinuncio a qualche refolo più azzurro se riesce a infilarsi tra San Giorgio e la Giudecca. Ci saranno vino e angurie al fresco dentro un secchio, e sarde in saòr che pizzicano e insalata di molluschi con tanto limone. E gelato al cocco, coi pezzetti dentro.
Inviterò gente a posto, che sa godere queste cose come me o in alternativa lo farà per me, per amor mio. Non sembri strano se non ci saranno parenti e familiari, tranne una; è che ci conosciamo poco e sarebbero imbarazzati. Ma gli altri, gli altri sì: sarà dura scovarli, là dove sono andati a finire, ma ho sia il tempo sia la tenacia che mi servono.
Mia nonna, l’unica del mio sangue, non occorre neanche chiamarla. È lì vicino, a San Michele, e quando mi sente viene subito. Viene sempre, lei. Ha già pronto il suo vestito nero coi fiorellini provenzali e il giro di granati sul collo magro e tiepido.
La suora della prima elementare, suor Maria Lucia si chiama, ancora adesso che forse è morta. Ma per il bene che ci siamo volute so che verrà. Magari sta solo finendo di invecchiare in qualche linda casa di riposo di quelle che tutte le suore hanno in posti tranquilli di mezza montagna. Magari ha ancora qualcuno dei miei primi quaderni a righe.
La mia compagna di banco del liceo, coi capelli ossigenati che i maschi la annusavano ma poi è rimasta da sola, eppure abbiamo passato dei gran bei pomeriggi a casa mia coi Bignami di storia e le spremute d’arancia e i 45 giri, e arrossivamo insieme di pensieri solo pensati.
Quel ragazzo che mi piaceva tanto perché mi sbirciava sul portone con occhi accesi e un giorno riuscì a tirarmici dentro e mi insegnò a baciare e ancora adesso se lo ricorda e per premio gli ho perfino dato il numero del mio cellulare, e quando lo accendo due o tre volte al mese dentro ci sono sempre messaggi suoi, guarda un po’ come non si cambia.
Quel medico brusco e buono che mi ha messo in mano la prima siringa e mi ha detto “adesso tocca a te, fammi vedere che mano hai”, e per fortuna avevo proprio la mano giusta, così dopo avermi insegnato quella mi ha insegnato un sacco di altre cose più importanti tipo la compassione e la freddezza, che dio solo sa se mi sono servite e mi servono tuttora.
Quell’amica molto più vecchia di me che aveva più pazienza di mia madre, e con lei parlavo davanti al caffè in cucina e mi raccontava di suo marito che l’aveva tradita e lei lo aveva messo fuori di casa senza pensarci due volte e poi aveva cominciato a preparare pastiere per le figlie sposate e anche ad andare in palestra perché era, sì insomma, era grassa e un po’ mi invidiava.
Quel prete che mi perdonava sempre e la faceva corta perché si finiva a discorrere di musica, e mi avvisava ogni volta che c’erano le prove dell’organista e mi faceva entrare dalla sacrestia e ci sedevamo sui gradini dell’altare con le spalle a Nostro Signore e ascoltavamo come fosse pregare, o forse meglio.
Quella bambina che conosco solo io.
Quell’uomo che mi capisce al volo.
Quel cane che mi ricambia gli sguardi.
Quel libro che mi insegna a scrivere.
Gente così, voglio invitare. Gente che all’ultimo minuto non fa lo scherzo di non venire, che non gli interessa di ballare e far rumore, ma solo stare vicini, quasi uguali, senza tante storie e tanti perché. Le domande se le fanno gli sconosciuti, e le risposte non sempre sono sufficienti.
Voglio una festa del cuore, e festa sia.

9 thoughts on “E festa sia

  1. Grazie ragazzi, ma non è il mio compleanno. E’ solo il mio desiderio di un compleanno in estate, che è la mia stagione preferita.

    Buona estate a tutti.

  2. Allora Auguri.

    Anche febbraio però… San Biagio per esempio.santo calmo. Poi quanto calmo non lo so, ma me lo dice il nome e l’istinto che è un santo calmo.

    Comunque auguri.

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