L’eleganza del riccio

di Muriel Barbery
eleganza_copertina

Di questo libro parlerò bene, e volentieri, perché fra gli ultimi che ho letto è forse quello che maggiormente mi ha colpita. Il mio apprezzamento è comunque tardivo e preceduto da quello unanime con il quale è stato accolto in Francia, dove nel 2006 è stato definito il “caso letterario dell’anno”, nonché da quello che sta riscuotendo – e per fortuna, aggiungo – anche nel nostro Paese, che credo di poter affermare non annoveri, nell’attuale panorama letterario, una scrittrice di razza paragonabile a Muriel Barbery. La formazione culturale di alto livello dell’Autrice traspare tutta sia nell’eleganza dello stile che nella finezza dell’intreccio, se di intreccio si può parlare in una storia in realtà priva di una vera e propria trama e basata più che altro su una serie di quadri descrittivi e di riflessioni. Dunque, più che di intreccio sarebbe il caso di parlare di “tema”, e il tema è giusto quello sintetizzato nel titolo: l’eleganza trattata dalla Barbery è quella di un animo nascosto, un’eleganza intellettuale celata dietro una voluta apparenza di ottusità e sciatteria, e difesa dagli sguardi altrui (per mancanza di fiducia nel prossimo o in se stessa?) con l’agguerrita tenacia con cui un riccio dispiega tutti i suoi aculei per proteggere la propria fragilità.
Il riccio elegante in questione è Mme Renée Michel, portinaia di un signorile palazzo parigino abitato da persone altolocate che fanno sfoggio, ahimè, di alcuni dei vizi più diffusi proprio in un certo ambiente: la boria, l’ipocrisia, il culto dell’apparenza e, spesso, la più elementare ignoranza. All’opposto, Mme Michel svolge il suo oscuro lavoro di guardiola interpretando il suo personaggio secondo i canoni più tradizionali: bruttina, grassoccia, dimessa, perfino mentalmente limitata, questo è il cliché di ogni portinaia parigina che si rispetti, e questa è soprattutto la maschera che, indossata ogni giorno durante l’orario di servizio, le permette di nascondere doti inusuali che, messe allo scoperto, farebbero di lei una anomalia inquietante, una presenza scomoda e fuori luogo in un ambiente snob come quello. Perché Mme Michel, nel rifugio delle sue due stanze a pianterreno che condivide con un canonico gatto, coltiva in realtà letture ricercate, è una competente frequentatrice di letteratura, arte e filosofia, nonché una raffinata conoscitrice della sofisticata cultura giapponese. Nelle ore libere, nelle notti di insonnia, nella sua solitudine di vedova, ristora il suo animo e lo nutre di Bellezza, per ripagarlo delle piccole meschinità della routine quotidiana e della delusione dei rapporti sociali con persone tanto vanagloriose quanto vacue.
Co-protagonista accanto a lei, e titolare di una vicenda parallela, è la giovanissima Paloma, che abita con la altezzosa famiglia nello stesso palazzo e che, essendo naturalmente dotata di intelligenza precoce e sorprendente capacità di analisi, vive un disagio simile a quello della portinaia, poiché le sue acute osservazioni del mondo che la circonda le restituiscono una realtà assurda, aliena, allucinante, inaccettabile al punto da farle prendere la decisione di porre fine alla sua vita – per l’evidente inutilità di viverla – allo scadere del suo tredicesimo compleanno. Il percorso intimo che la porterà al compimento di questo progetto è contenuto in un diario, al quale essa affida la cronaca della propria crisi esistenziale sulle soglie dell’adolescenza.
Ma la sintesi che ho appena esposto di queste due vicende umane non deve trarre in inganno: esse non sono narrate col tono drammatico o lacrimoso che ci si potrebbe aspettare, e neppure con quello languido o malinconico di un racconto intimista. Tutt’altro, tutt’altro, e grazie al Cielo.
Perché sia Renée che Paloma, ben lungi dall’essere donnicciole piagnucolose o vittimiste, sono due bei caratterini agguerriti e soprattutto dotati di un magnifico spirito, di una intelligente ironia, di un umorismo più che originale, ed è con questi strumenti che riferiscono al lettore – il quale spesso si ritrova con le lacrime agli occhi per il divertimento – i fatterelli stupidi e ripetitivi di ogni giorno e i comportamenti e gli exploits scoraggianti di una società votata solo all’esteriorità e al lusso. Ironia e distacco solo con i quali è possibile deridere la meschinità e non restarne schiacciati.
Terzo personaggio, e personaggio-chiave, è il giapponese signor Ozu, un nuovo inquilino, che racchiude in sé le doti più apprezzabili: l’equilibrio, la semplicità dell’eleganza, la discrezione tipica del gentiluomo orientale, la passione per la cultura. Egli diventerà, con infinito garbo e impareggiabile intuito, il complice spirituale delle due protagoniste, che con lui finalmente potranno condividere il leit-motiv delle loro vite: il gusto per la Bellezza e l’esercizio dell’Intelligenza.
Se si eccettua il coup-de-théatre del finale (del quale ovviamente non parlerò), la vicenda raccontata in questo romanzo segue un filo conduttore abbastanza tenue e non è segnata da avvenimenti o scene d’azione. Ciò che conta e su cui si fonda la particolarità del libro è proprio il minimalismo della trama, che permette all’Autrice di dedicare tutto il suo impegno creativo e tutte le sue risorse stilistiche e linguistiche all’elaborazione di una analisi di caratteri, di sentimenti, di riflessioni, di considerazioni private. Dal punto di vista tecnico, la Barbery possiede un lessico alquanto esteso e una non comune padronanza degli strumenti sintattici, che le permettono di elaborare in modo originale e gradevolissimo la costruzione dei periodi senza cadere in banalità o disomogeneità. Lo stile, pur se colto, è sempre scorrevole, colmo di grazia e leggibile; merito anche di una traduzione (a due mani, di Emmanuelle Caillat e Cinzia Poli) che ha saputo trasferire nella purezza della nostra lingua non solo i singoli componenti delle frasi ma – obiettivo già più arduo – la struttura del fraseggio. Grazie a questo ottimo lavoro, l’immedesimazione risulta estremamente fluida.
Al termine della lettura, dopo essersi staccati di malavoglia da quella conciergerie, da quel microcosmo così ben descritto, da quei personaggi che così facilmente ci sono divenuti familiari, ci rimane tra le mani il senso complessivo e definitivo del romanzo: un omaggio a quei doni della vita che molti non sanno godere e nemmeno individuare, e che invece sono alla portata di chiunque perché appartengono al quotidiano – le piccole armonie presenti in ciò che ci circonda, da un gesto gentile a un colore ben assortito a un sapore riuscito, da una musica che parla al cuore a un silenzio che contiene ben di più. Un romanzo capace di di-vertire perché ci accompagna in un’ambientazione resa con bella capacità espressiva. Ma anche e soprattutto un romanzo capace – suggerendo con grazia e spirito una denuncia sociale verso la superficialità o l’arroganza di molti rapporti umani o verso i vuoti di una imperante sottocultura, ma senza mai cedere a un facile e superfluo moralismo che avrebbe appiattito e banalizzato tutto – di lasciarci dentro, nel tempo, spunti di riflessione applicabili alla vita di ciascuno.

5 thoughts on “L’eleganza del riccio

  1. Non mi ero mai commosso leggendo un libro. Davanti ad un film spesso. Leggendo no.

    Stavolta è successo.

    E non per l’epilogo. Un po’ prima.

    Un bel libro che, temo, alcuni non leggeranno perchè di troppo successo.

    Spocchiosi.

  2. Sì, è una lettura costruttiva intanto, oltre che molto piacevole. Purtroppo mi sono deciso tardi a leggerlo proprio per la distanza che di solito metto fra me e i grandi casi letterari, che m’insospettiscono sempre. Poi ho vinto le mie riserve e ora lo consiglierò e lo regalerò qua e là. :)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.


*