Mort en terre étrangère

di Donna Leon

D.Leon_copertina

Donna Leon: un nome che sembra uno pseudonimo, e se così fosse sarebbe anche azzeccato, accattivante. Le sue biografie la descrivono come una signora americana che vive da decenni a Venezia; si favoleggia addirittura che insegni (o abbia insegnato) qualche cosa all’università di Ca’ Foscari, un dato, questo, che potrei facilmente verificare, se ne valesse veramente la pena. Dirò che non la vale, perché non ho alcuna difficoltà a concordare sulla sua capacità di scrivere in modo più che scorrevole, come ci si aspetta da una persona che frequenti la cultura. In effetti, l’impulso a continuare la lettura di questo romanzo – l’unico finora che ho letto dei quattro che sono in attesa sul mio tavolo – è venuto proprio dal suo incipit, che ho trovato molto promettente dal punto di vista stilistico (anche se poi ho trovato inadeguata e sdolcinata la chiusa, che insieme all’incipit è l’aspetto di un romanzo che andrebbe maggiormente curato perché è uno di quelli che più facilmente fanno breccia sul lettore e ne decretano il gradimento). A Donna Leon riconosco il merito di saper offrire scene estremamente verosimili, curate nei particolari come immagini di un film a colori, e di saper avvolgere il lettore in atmosfere suggestive sfruttando uno scenario adattissimo allo scopo e tradizionalmente prediletto da molti scrittori quale quello rappresentato da Venezia, una città che è nei sogni di tutti. Però, considerando che il genere di Donna Leon è il poliziesco, che il suo eroe è un commissario di polizia e che i suoi intrecci sono incentrati su fatti criminosi e le relative indagini, si converrà che lo stile sicuro (ma senza guizzi) e l’abilità descrittiva (ma un po’ troppo diligente) non sono ingredienti sufficienti quando, viceversa, la trama e la suspense sono talmente esili da restare sopraffatte dalle continue scene o scenette di contorno. Ricorderei volentieri che altri maestri del genere, in particolare Simenon, raggiungono il massimo dell’espressività attraverso un linguaggio scarno e diretto, laddove alla signora Leon sembra non bastino mai le parole: la sua narrazione, per quanto gradevolmente leggibile nel complesso, si affida insistentemente a caratterizzazioni di facile presa popolare e a descrizioni pedantemente didascaliche, con un gusto per l’esposizione minuta che poco si attaglia al carattere virile di un noir. Sembrerebbe che il primo obiettivo dell’Autrice sia non tanto catturare l’attenzione del lettore sui misteri di casi polizieschi e sulle ricerche che li portano a soluzione, quanto piuttosto disegnare con dovizia di mezzi lo sfondo su cui essi si volgono; vengono privilegiati, con non sempre comprensibile insistenza, descrizioni di ambienti e di luoghi, resoconti di colloqui professionali ma più spesso privati, considerazioni di ordine vario e generale che poco hanno a che fare con il caso trattato e che spaziano con discutibile disinvoltura su molti, moltissimi (forse tutti) aspetti della società italiana, della quale da anni Donna Leon è evidentemente critica osservatrice. Suppongo che tutto questo, nelle intenzioni dell’Autrice, sia volto a presentare, all’interno di un romanzo, uno spaccato del nostro Paese visto attraverso l’impietosa (e condivisibile, certo) esposizione dei molti mali che lo affliggono: dalla mafia, alla corruzione, alle connivenze ad alto livello, all’insabbiamento politico degli scandali, all’inquinamento dell’ambiente, al traffico di rifiuti tossici, non ne sfugge uno alla denuncia, ma soprattutto lascia perplessi l’ingenua caparbietà di affrontarli tutti insieme, quasi di ammucchiarli, benché alla rinfusa, in un unico calderone, a rendere il brodo più gustoso oppure, e più verosimilmente, più lungo. Ma se in un solo romanzo, il primo e l’unico che ho finora letto, l’Autrice è riuscita a stipare e sviscerare praticamente tutti i temi della nostra attualità italiana assegnando a ciascuno di essi un ruolo di diverso peso e responsabilità nel corso di una stessa indagine, mi chiedo a cos’altro si appellerà negli altri romanzi per riempirne i capitoli, come troverà nuove idee, nuove piste per il suo commissario, se non tornando a sfruttare questi stessi argomenti che, ammettiamolo, proprio perché risaputi e scomodi fanno tuttavia audience. E in quel caso, al povero recensore non resterà di meglio che ripetersi lui stesso.
Il caso in questione inizia con il ritrovamento, in un canale, di un cadavere, che si scoprirà presto essere quello di un militare americano di stanza alla vicina base statunitense di Vicenza; si complica poi con un’altra morte sospetta, e si intreccia (un po’ macchinosamente) anche con un furto d’arte. Ce n’è abbastanza per tener viva l’attenzione di un lettore di polizieschi, direi; eppure a queste vicende viene dedicato meno spazio di quello che occupano le frequenti e dettagliatissime scene di puro contorno e le altrettanto frequenti e ripetitive – nonché poco originali – elucubrazioni sulla politica, l’attualità e i molti luoghi comuni che all’estero è prassi attribuire agli italiani. Ci si spiega facilmente il motivo per il quale Donna Leon, popolare in tutto il mondo e tradotta in molti paesi, si sia sempre opposta alla traduzione dei suoi libri nella nostra lingua, per arginare la loro distribuzione a un più vasto pubblico e in tal modo limitare l’impatto sgradevole che le sue critiche al sistema Italia potrebbero avere presso lo stesso. Infatti, questo romanzo e gli altri di cui sono venuta in possesso sono copie della loro versione in lingua francese, edita da Calmann-Lévy, e confesso che il fatto di poterli leggere in una lingua a me tanto cara rappresenta forse il vero piacere di questa lettura. Una lettura che non arriverò a giudicare inutile, dato che un certo svago ne ho ricavato, ma che tuttavia definirei “senza infamia e senza lode”. Una lettura, mi è venuto da pensare più volte, da metropolitana: ma in fondo, ammettiamolo, per i nostri momenti di evasione senza pretese, per colmare piccole noie e attese, è proprio di questo genere di letture che andiamo in cerca. E dunque, senza falsi snobismi, lunga vita ora e sempre alla letteratura popolare, e alla spensierata compagnia che ci regala.

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