Una giornata qualunque

Oggi la mamma è morta. o forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.”
(Albert Camus: Lo straniero, 1942 – incipit)

Il telegramma, già aperto, me l’ha portato in camera il Direttore in persona. Io stavo guardando fuori dalla finestra chiedendomi se era il caso di farlo, dal momento che non c’era niente da vedere che non avessi già visto. Il Direttore ha aspettato che leggessi e poi è rimasto un po’ in silenzio con un sorriso mesto ma incoraggiante. Mi ha detto:
“Se lo desidera, posso firmarle un permesso per il funerale. La accompagnerei io stesso, si intende”.
Non lo desidero. Il telegramma non mi dice niente. Una signora deve essere morta in qualche ospizio, questo dice, ma non so perché lo dica a me. Non mi ricordo di avere una madre, né in un ospizio né altrove. La mia memoria sceglie da sola cosa ricordare: è guidata dalla mia volontà, che è sempre stata molto selettiva. Non ha trattenuto fatti della mia vita che altri hanno messo per iscritto, etichettandoli con termini che mai si sarebbero venuti in mente. Abusi infantili, gravi disturbi della sfera affettiva, dramma familiare, riformatorio, incapacità di intendere e di volere, rischio sociale.
Dice ancora il Direttore:
“Sembra che sia morta nel sonno, senza soffrire. Una bella morte, non trova anche lei?”
“Non lo so. Suppongo di sì. Ma supporre non è sapere – rispondo. Cerco di fargli intendere quanto sia ozioso parlare della morte senza sapere cosa sia. Cerco di farglielo intendere gentilmente, perché può darsi che la maschera di afflizione che si è messo addosso sia sincera. Non me ne intendo molto, di maschere; io non ne indosso mai.
Più tardi il Direttore è tornato di nuovo. Io avevo già preparato il foglio e l’inchiostro di China sul tavolo e avevo voglia soltanto di riprendere il mio lavoro alla mappa di Praga. Sta venendo bene, è identica all’illustrazione dell’enciclopedia.
Il Direttore ha insistito per fare una passeggiata in giardino. Gli ho detto che dovevo ancora vestirmi, e lui mi ha fatto notare che ero già vestito. Non mi ricordavo di averlo fatto. Non era una cosa importante da ricordare.
Scendere in giardino vuol dire prima di tutto varcare una serie di inferriate chiuse a chiave. Una zona del giardino è affidata agli ospiti dell’Istituto. Il giardinaggio stimola l’autostima dei pazzi depressi e convoglia positivamente le energie dei pazzi agitati. Io non sono un pazzo depresso, né un pazzo agitato. Sono un pazzo normale.
Il Direttore, passeggiando, mi ha mostrato una fotografia e mi ha chiesto se la riconoscevo. C’era una donna in posa su un terrazzino con alcuni vasi di fiori. Ho detto che non la conoscevo. Mi ha fatto notare che era mia madre, sul terrazzino di casa nostra.
“Non la conosce oppure non la riconosce?”
“Non posso riconoscere qualcosa che non conosco, le pare? – ho risposto, e lui allora è rimasto zitto e si è rimesso la fotografia in tasca.
A quel punto ho chiesto di poter rientrare, perché non amo stare all’aperto.
“È vero, mi scusi. Dimenticavo che soffre di agorafobia”.
“Ne sono affetto, ma non ne soffro – ho voluto chiarire.
In camera ho aperto la boccetta di inchiostro di China e ho intinto il pennino. Mentre miniavo il nome di un vicolo di Praga la mia mano era fermissima.
Ho sempre avuto le mani ferme.
Anche quando ho spinto mio padre giù da quel terrazzino.

Questa fanfaluca partecipa all’EDS lanciato dalla benemerita La Donna Camèl, e se la gioca anche con:
Hombre: Tutto quello che non sopporto
Dario: Avanti
Lillina: Alter ego
Mario: Aefula
MaiMaturo: Quello che sono disposto a raccontarvi
Singlemama: La voce
La Donna Camèl: 4 maggio

10 thoughts on “Una giornata qualunque

    • Incipit e finali dovrebbero essere sempre frutto di accuratissima scelta. Finché non li ho elaborati definitivamente nella mia testa, non mi metto neanche a scrivere tutto quello che sta in mezzo ai due. Grazie per l’apprezzamento e un bell’abbraccio *)

  1. bello, ma davvero davvero. coerente lo stile e finale spiazzante e esplicativo al tempo stesso. E questa? Questa mi ha mandato in sollucchero:
    Io non sono un pazzo depresso, né un pazzo agitato. Sono un pazzo normale.

    • Come per il tuo pezzo, Dario, che lascia un po’ a bocca asciutta perché da dove lo interrompi nascono mille possibilità. È bello quando si riesce a stimolare la fantasia del lettore, che diventa poi creatore a sua volta.

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