Dove siete andati?

Da un quadro una storia:
Maurice Utrillo – Rue Marcadet, circa 1910

Sono tornato.
Il mercantile ha attraccato ieri a Le Havre; la traversata l’ho pagata pulendo sentine e aiutando il cuoco. Ho imparato a cucinare in Louisiana, nella baracca di Papà Joe, dove si faceva da mangiare per i lavoranti delle piantagioni. A Le Havre ho trovato quasi subito un passaggio su un carro che trasportava merci alle Halles di Parigi. Abbiamo viaggiato di notte, siamo entrati in città nella nebbiolina dell’alba, e dopo aver aiutato a scaricare sono rimasto da solo, nelle vie ancora addormentate, a concludere questo lungo viaggio di ritorno. Rue Marcadet. Eccola, ancora distesa nel sonno, nel grigiore di un’ora opaca.
Sono stato via tanti anni, almeno trenta.
I primi tre li ho passati nella Legione straniera, dove vanno i ragazzi in cerca di emozioni forti soprattutto se, come me, non hanno niente e nessuno che li trattenga. Raccolto da un prete, sistemato in un orfanotrofio, affidato tardivamente a una coppia triste e già in età che precocemente mi aveva lasciato orfano per la seconda volta. Dalla Legione mi sono congedato per motivi di salute: una forma lieve di malaria che conferiva alla mia abbronzatura da sole del deserto una sfumatura olivastra. Con la barba, una kefiah e un caftano, passavo facilmente per un arabo. Ho fatto mille mestieri, ho girato mezzo mondo. Ho scortato una spedizione di archeologi inglesi, ho fatto il custode in un hammam di Marrakesh, il croupier in una bisca di Casablanca e il lift in un albergo al Cairo. I turisti stranieri mi lasciavano buone mance. Poi mi sono messo nei guai con una ragazza del posto, e per sfuggire al coltello di suo padre mi sono imbarcato clandestinamente su un piroscafo credendo che andasse a Tolosa. Invece era diretto in Sudamerica.
Ho posato traversine per una ferrovia ai margini della foresta amazzonica. Ho seccato tabacco in una manifattura colombiana. A Buenos Aires, a una riffa di emigrati italiani ho vinto un gallo da combattimento, e per un po’ ci ho fatto dei bei soldi.
A Caracas lustravo scarpe di fronte al palazzo della Borsa. Sul retro del giornale di un cliente un annuncio prometteva fortuna piantando aranceti in Florida; ci sono andato.  È stato un errore: un attacco della vecchia malaria mi ha ridotto male, e l’unica fortuna che ho trovato da quelle parti è stato un vecchio sciamano Seminole che mi ha curato con certi suoi suffumigi aspri, misteriosi ed efficaci.
Mi sono spostato più a nord e a ovest. Sono stato mandriano nelle praterie e tagliaboschi sulle montagne; in Texas ho macellato maiali, a San Francisco ho lavato le botti di una distilleria, a Kansas City ho pulito le gabbie delle tigri di un circo. Ho fatto il bracciante in campagna e lo strillone, il lavapiatti, il facchino in città. Ho provato tutti i mestieri e non ne ho imparato bene nessuno. Non ho mai avuto un lavoro fisso, una casa fissa, una donna fissa. Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto a metà, rinviando il resto a dopo. C’era tanto tempo davanti, e tante strade, tanti treni, tanti carri bestiame. Le mie mani si sono sporcate di mille sudiciumi diversi, l’unico che non mi restava mai attaccato era quello dei soldi.
Fino a quel giorno, un mese fa. A St. Louis, in un quartiere affollato e caotico in piena ora di punta, mentre stavo spingendo una carriola piena di rifiuti per conto di un robivecchi che sgomberava case da demolire. D’un tratto un uomo che correva trafelato mi ha urtato, c’era qualcuno che lo inseguiva gridando Al ladro! e anzi tutta la gente intorno pareva gridare scalmanata. Questione di un attimo, e il sacchetto che stringeva in pugno è volato nella mia carriola. Il tizio non si è fermato, ha continuato a scappare, confondendosi tra la folla dopo essersi liberato della prova del furto. Quando il primo agente inferocito mi è passato accanto di corsa ho provato a dirglielo, gli ho mostrato il sacco tenendolo bene in vista, ma sia lui che i suoi colleghi arrivati dopo mi hanno spinto in là intimandomi di sparire con le mie carabattole. Sissignore, mi sono detto. Sparisco subito, con le mie carabattole e tutto.
Con quei soldi che nessuno ha chiesto indietro, potrei sistemarmi, ho pensato. Potrei aprire una piccola attività e guadagnarne degli altri. Mi piacerebbe avere un negozietto, una latteria per esempio; oppure una rivendita di vini. Comincerei modestamente, poi mi amplierei. L’idea di una rivendita di vini non mi faceva dormire la notte: mi vedevo, un po’ invecchiato e un po’ ingrassato, un grembiulone e un basco in testa, in una cantinetta con la lampadina nuda sul soffitto, qui, in questa via dove sono cresciuto, in questo paese dove si parla la mia lingua e si annusa un confortante odore di pane fresco per le strade popolari.
Per questo sono tornato, con i soldi nascosti addosso, pagandomi il viaggio col lavoro per non intaccare il mio piccolo tesoro.
Per questo tornato dopo tanti anni e fallimenti, ma non per vedere queste case scolorite, queste file di persiane chiuse, queste serrande sprangate sotto insegne sbiadite, questi marciapiedi deserti.
Dove siete andati, tutti? Avete forse smesso di esistere il giorno in cui me ne sono andato tanti anni fa, perché non vi ho mai ricordati né sognati, non vi ho mai scritto, non mi sono mai più preoccupato per voi? Dove siete andati?
Fatevi vedere, aprite quelle finestre, affacciatevi alle porte, venitemi incontro, abbracciatemi.
Perdonatemi, se potete.

2 thoughts on “Dove siete andati?

  1. Santo cielo, che vita disperata, alla ricerca di qualcosa, con la scusa di trovare un lavoro per tirare a campare. Quasi alla fine, se ce ne fosse bisogno, il protagonista capisce che non erano i soldi, ma molto di più e molto più difficile da ottenere. Grande come sempre, Melusina.

    • In verità non ho inserito coscientemente il messaggio che suggerisci tu. Sono solo partita da uno dei tanti dipinti di Utrillo che ritraggono vie di Parigi o altre località, notando che in genere contengono poche o pochissime persone ma puntano tutto sulle facciate delle case e su un senso di immobilità. Ecco, direi che sono partita da quelle persiane chiuse e poi i tasti sono andati avanti da soli. Io non c’entro :-)

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