I più son fuori

L’ha fatto di nuovo. Ma stavolta sulla sua strada ha trovato una persona del tutto priva di umanità, comprensione e carità cristiana, benché sia il Vescovo. Un uomo di Dio. Di un Dio forse che non conosce l’ironia, e nemmeno le piccole fantasie che fanno così felici le sue creature.
Ieri mattina, domenica del Corpus Domini, le campane suonavano più festose del solito. Luigi, che è curioso e anche un po’ vanitoso, ha lasciato a metà il caffè d’orzo col pan secco e si è affacciato per vedere cosa succedeva.
“C’è la cresima, Maestà – l’ho informato.
“Ma quale cresima, oggi deve essere San Luigi, è il mio onomastico, e il popolo mi onora con una messa solenne. Presto, i miei vestiti!”
Io non discuto mai. L’ho aiutato ad agghindarsi mentre lui improvvisava il discorso da tenere, grondante tenerezza per i suoi sudditi.
“Come sto? Come sto? Sono bello? Sono regale? – mi chiedeva ansiosamente.
“Siete un Sole, Maestà – è quello che vuol sentirsi rispondere in questi casi.
“Non sei male neanche tu – ha ammesso, perché è un gran signore – Aspetta, un ultimo tocco…” e mi ha slacciato il grembiule, dopodiché ero pronta. Nel mio vestito da casa, con gli zoccoli dell’orto e tutto. Mi sono buttata in testa la parrucca della domenica, che di solito sta sullo sgabellino del gatto, e siamo usciti, lui davanti ridente e splendente, io dietro reggendogli lo strascico attraverso la piazza.
Al nostro ingresso in chiesa, tutti si sono alzati e si sono inchinati profondamente; lui passava radioso, dispensando saluti e benedicendo i neonati, mentre l’organo piantava a metà un inno sacro e intonava una marcia trionfale. Luigi, arrivato all’altare, si è subito installato sullo scranno dorato del Vescovo e si è aggiustato gli ermellini dando segno di essere pronto a cominciare. Il Parroco, sotto gli occhi allibiti del suo Superiore che aveva perso la parola per lo stupore, gli si è avvicinato con deferenza:
“Maestà, noi qui staremmo cresimando…”
“Benissimo. Date qua l’occorrente, ci penso io. E se c’è qualche battesimo, faccio anche quello”.
Era così felice di fare qualcosa per il suo popolo! I diaconi e i chierichetti subito lo hanno affiancato con turiboli e ampolle, mentre i cresimandi uscivano dai banchi e si mettevano in fila come avevano imparato al catechismo, orgogliosissimi che a ungerli non fosse un Vescovo qualunque ma il Re in persona.
Il Vescovo qualunque stava ritrovando la voce e pareva sull’orlo di una incazzatura per nulla qualunque. A poco è servito che il Parroco cercasse di prenderlo da parte e di spiegargli che il Luigi ha una sua piccola mania, assolutamente innocua, e che in paese tutti lo sanno e gli vogliono bene lo stesso, perché il Luigi, Eminenza mi creda, è un buon cristiano e un pezzo di pane, solo che è diciamo così un pochino fuori di testa. “Ma noi, veda, ci siamo abituati – diceva per placarlo.
“Abituati un corno! – sbotta il Vescovo – Questo è sacrilegio, e vi faccio vedere io!”
E se ne è andato imbufalito, non prima di avere scomunicato l’intero paese e sconsacrato la chiesa.

Così stamattina, quando sono arrivati gli infermieri e il sindaco, costernati ma costretti da ordini superiori, abbiamo capito tutti che era una vendetta del Vescovo, che invece non ha capito niente di come vanno le cose qui da noi. Le cose vanno che il Luigi ha dato un po’ di matto anni fa, per tutta una serie di motivi che chiunque con un minimo di buon senso troverebbe plausibili. Il conte suo papà, lui sì che era matto davvero: aveva titolo, terreni, villa, e si è mangiato tutto in bischerate. Quando è morto, il Luigi si è trovato con un pugno di mosche e tanti debiti, che per pagarli ha cercato di vendere la villa ma primo è sotto la tutela delle Belle Arti e secondo le Belle Arti non gli danno neanche un centesimo per restaurarla così cade in pezzi e non se la compra nessuno. Un quadro, una statua, un mobile, un incunabolo dopo l’altro, si è dovuto vendere tutto. La moglie del Luigi, visto che si era fatta tutta un’altra idea sull’essere contessa, se ne è andata ai primi scricchiolii, e lui è rimasto solo nelle sue quaranta stanze affrescate coi segni dei vuoti sulle pareti.
Le tasse, soprattutto l’ultima, quella sulle prime case, gli hanno dato il colpo di grazia. Una mattina è scappato via da questa vita ingrata e si è rifugiato nella vita di un altro, uno che sentiva più simile a sé nell’animo: un altro Luigi, il quattordicesimo di Francia, uomo elegantissimo fra l’altro, e molto amato dai sudditi.
Io sono la sua fantesca, l’ultima rimasta dello stuolo di domestici dei bei tempi. Mi chiamerei Mariuccia, ma per lui sono la Maintenon, che poi ho letto da qualche parte che era una marchesa, e la cosa non mi dispiace neanche, toh.
A volte sono anche qualcun altro. A tavola, quando gradisce un piatto, mi manda a chiamare il cuoco. Io esco e poi rientro subito, e in quel momento divento il cuoco. E lui mi colma di gratificazioni commoventi.
“La bisque di gamberi era eccellente!”
Era tapioca, senza gamberi.
“Questo soufflé è sublime!”
Era una frittatina di due uova.
“Con questo coq au vin avete superato voi stesso!”
Erano ali di pollo lessate.

Perché, Eminenza, dovete capire: lui è così, vive in un mondo tutto suo, felice e dorato, e non chiede niente di impossibile. Chiede solo che glielo lasciamo credere, e in cambio non fa del male a nessuno. Stamattina, quando sono venuti a prenderlo per portarlo dai matti (potevate risparmiarvelo, però), si è fatto trovare in pompa magna, anche se ci era appena arrivato l’ultimo avviso dell’enel che ci toglierà la luce per morosità. Agli infermieri ha chiesto benignamente:
“Dove si va?”
“All’ospedale, Maestà – gli hanno dovuto rispondere, molto amareggiati.
“Ah, benissimo! A trovare i derelitti! Giusto, giusto: porterò loro il mio conforto, voglio che sappiano che sono con loro, che sono uno di loro”.
E li ha seguiti mitemente. Tutti noi avevamo quasi le lacrime agli occhi, e anche fuori, in strada, c’era gente mogia che si era raccolta per salutarlo, fargli ala per l’ultima volta. Luigi sorrideva a tutti, li rincuorava, dava buffetti ai bambini che gli porgevano disegnini colorati, accettava mazzi di papaveri dalle donne e strette di mano dai mariti. In ambulanza l’hanno fatto sedere davanti, perché potesse salutare anche i contadini sui cigli dei campi e le lavandaie sugli argini.
E in mezzo al cielo c’era un Sole, ma un Sole! 

immagine: Le Roi Soleil, di Hyacinthe Rigaud (1701)

6 thoughts on “I più son fuori

  1. Sono stata fortunata ad averti conosciuto, mi sarei persa questi racconti , che non so come entrano in un modo e me li ritrovo in un altro, si perchè poi mi fermo e immagino , magari basta rileggere una frase…boh sei grande! grazie.

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