Come fu che

Era buio fitto e c’era parecchia umidità, ma C-162 avvertì chiaramente il loro arrivo tumultuoso. Si spintonavano per farsi largo, e i più ingenui restavano indietro, fuori gara. In breve ne fu circondata: un brusio nervoso emanava dalle loro piccole teste feroci, e c’era tanta elettricità nell’aria che si potevano intravedere i loro occhietti fosforescenti. C-162 capì subito di non avere scampo, e che l’unica soluzione era trattare. Non si sarebbe arresa per poco: voleva qualcosa in cambio, e loro sapevano benissimo, a loro volta, di dover gareggiare per conquistarla. Ne passerà uno solo, era scritto.
“Sentiamo, cosa mi avete portato?”
“Io ti darò una Y! Non ti piacerebbe un primogenito maschio? – si lanciò G-180.444.512.
“Adesso come adesso sarei più per una femmina. Magari più avanti”.
“Io ti regalo il gene dell’apprensività – azzardò G-180.444.513.
“No no, mi basta il mio!”
“E se ci aggiungo pessimismo e tetraggine? Pensaci, è un affare – insistette lui, ma era già precipitato nell’ansia, nella depressione e nella certezza della sconfitta.
Infatti C-162 lo respinse senza appello: “No grazie, diffido dei 3×2”.
“Io avrei il gene degli occhi chiari. Guarda che è bello sai! – ci provò G-180.444.514.
“Non ne dubito, ma è un gene recessivo e con me non attaccherebbe”.
“E se ci aggiungo un orecchio assoluto? – rilanciò speranzoso G-180.444.514.
“Sarebbe uno spreco, io sono troppo stonata e te lo rovinerei”.
“Se ti interessa, mi degnerei di condividere benignamente con te il mio gene della megalomania – propose l’altero G-180.444.515.
“Per carità, io sono timida!”
Cominciava a circolare un certo imbarazzo. Restava poco tempo e ancora nessuno era riuscito a passare l’esame. Poi uno, G-180.444.516, visto che era arrivato fin lì solo per quello e che comunque non c’era biglietto di ritorno, si fece coraggio e giocò la sua carta:
“Senti, non so se dirtelo… ma io ho il gene di – scusa, un po’ mi vergogno – di leggere molto”.
G-180.444.516 era arrossito nel buio perché temeva di avere troppo poco da offrire. Invece ecco che C-162 subito drizzò le orecchie e manifestò un certo interesse.
“Mi piace! Ce l’ho anche io, sai che botto facciamo se li mettiamo insieme?”
Gli altri cominciarono a preoccuparsi. Oddio, vuoi vedere che quello lì ha trovato la combinazione giusta?
“Scusa se ti faccio una domanda, ma sai com’è, prima di prendere una decisione del genere devo pur calcolare tutti i rischi”.
“Chiedi pure – accettò G-180.444.516, emozionatissimo.
“Ecco, volevo sapere come stai messo con la erre. Perché vedi, a me manca”.
“Celò, celò! La erre celò! Con me vai tranquilla, fidati! – oramai G-180.444.516 sentiva la vittoria in pugno, e si lanciò in una serie di guizzi e capriole. C-162 tirò un sospiro di sollievo. La scelta era fatta e le pareva fosse la migliore possibile. Ora poteva cedere con dignità.
“Allora sei tu quello giusto. Entra pure, e diamoci da fare perché c’è molto lavoro”.
Gli altri, gli scartati, rimasero lì fuori a digrignare i denti nel buio, e il buio piano piano se li inghiottì.
Così fu che, nove mesi dopo, spingi e tira, più con le cattive che con le  buone, una domenica sera d’inverno che pioveva e i lampioni striavano di riflessi dorati l’acqua del Canal Grande, nacqui io.
Non ho la deliziosa erre moscia di mia madre né gli occhi chiari o l’orecchio assoluto di mio padre, ma quanto a libri ne ho letti più di tutti e due messi insieme.

9 thoughts on “Come fu che

    • Col forcipe, pensa. La prima e l’ultima volta in vita mia che me la sono presa comoda, perché dopo di allora ho cominciato a correre e non ho ancora smesso 😉

  1. Eh, i due mascalzoni che mi hanno assemblato si sono dimenticati di passarmi l’orecchio assoluto del nonno, c’è mica un ufficio reclami da qualche parte?

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