Pedigree

maschere veneziane - L. TiepoloDei veneziani si dice “gran signori”. È vero, ci sentiamo signori anche in mutande, abbiamo dentro il genio splendente della Serenissima e siamo costituzionalmente degli snob. Con tutta la bonarietà di Goldoni, ma snob. Sornioni e autoironici, ma snob. Per esempio.
Da piccola mi avevano lasciato credere che mia madre era una contessa che aveva rinunciato al titolo per sposare un borghese. Falsissimo. Il nonno era un falegname e la nonna aveva origini contadine. Resta il fatto che mia madre era donna ipersensibile e svagata, e con questo si era fatta la fama di avere il sangue blu. E non era esattamente un complimento.
In casa dei nonni c’era anche un papiro araldico appeso a una parete, con le sue belle palle e corone, indubbia opera spuria e mercenaria di qualche artigiano, che basandosi sulla semplice condivisione di un cognome piuttosto comune certificava la discendenza dal ceppo del Guercino. Balle. Qualcuno si era solo divertito con poco.
Mi ero anche messa in mente che fra i miei antenati vi fosse un pilota del porto, e a questa leggenda ero affezionata più che alle altre, perché una figura così prestigiosa e tipica nel mio albero genealogico non faceva che confermare e nobilitare le mie radici acquee. Questo, probabilmente, me lo ero inventato da sola.
Pare vero, però, che nella famiglia paterna vi fosse stato un innesto di sangue greco. E del resto la Dominante in Grecia aveva fatto fior di guerre e di affari, ai tempi d’oro.
Cito questa mitologia familiare per quello che è. Lascio immaginare quante ispirazioni ne ho tratto, da bambina e ragazzina, nei miei primi esercizi di scrittura.
Mi converrebbe piuttosto vantarmi di alcune verità, ma non è che valgano molto più delle leggende. Per esempio.
Nantas Salvalaggio da bambino giocava in Campo dei Mori con mio padre, che non ne aveva un ricordo simpatico perché come ragazzino era stronzetto. Mio padre aveva conosciuto anche Carlo Della Corte, che per un breve periodo era stato impiegato nella banca dove papà era già funzionario.
La casa dove ho passato i primi anni dell’infanzia (e che successivamente è stata abbattuta, Dio strafulmini chi si è macchiato di questo crimine perché era una classica, leggiadra, armoniosa palazzina Liberty) era stata abitata, prima di noi, dalla famiglia di Carlo Rubbia.
Un mio zio era stato segretario del cardinal patriarca Marco Cè.
Una prozia piemontese, contadina politicamente attiva sotto il segno dell’Azione Cattolica, aveva conosciuto e discusso animatamente in mille occasioni con un ancor giovane ed esordiente Oscar Luigi Scalfaro.
Paolo Rumiz al liceo era un paio d’anni avanti a me, ma soprattutto era l’amico più intimo del mio moroso di allora, e quindi una delle persone che ho frequentato più spesso e più da vicino nei miei anni a Trieste. Dei tanti ricordi che ho di lui, quello che lui avrà senz’altro dimenticato (ma tanto non mi legge) riguarda una tarda sera d’inverno, al ritorno da una pizza o un cinema o una riunione con poesie, chitarre e distillati iugoslavi, quando sotto casa mia continuavamo a contarcela senza aver voglia di salutarci, e faceva il freddo che può fare a Trieste a gennaio verso mezzanotte, e lui, Paolo, aveva la gamba destra ingessata dal piede all’inguine per un incidente sugli sci (non il primo, se ben ricordo), e ciò malgrado a un certo punto si mette a saltellare sul marciapiede ghiacciato con il gambone rigido e tutto, e io gli chiedo se ha freddo o cos’altro ha, e lui mi risponde che semplicemente gli scappava la pipì.

Ecco, mi pare che sia tutto. Magari chiederò a mia sorella se si ricorda qualcos’altro, non so, un bisavolo doge, una trisnonna cortigiana, un antenato arcivescovo di Costantinopoli. O anche solo un cugino di quarto grado che aveva fatto il militare con il suocero della cognata del barbiere di Massimo Cacciari.

(nell’immagine: Lorenzo Tiepolo (1736-1776) – Maschere veneziane)

8 thoughts on “Pedigree

  1. il suocero della mia cognata (nella prima gestione) era anche il mio.
    a Venezia una gita scolastica indimenticabile con frate Sassu, ospiti di un convento nella piazza dov’è la statua del Colleoni.

  2. Oh no, per colpa del riferimento a Rumiz questo post è finito su Liquida!
    Paolo ti giuro, era solo un ricordo affettuoso e giocoso, guarda che ti voglio sempre bene e ti abbraccio, salutami tanto Patrizia e i ragazzi e anche Raffy e Flavia e Franco e Mila e gli altri e le altre di quei begli anni. Baci baci baci.

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