Storia d’amore e di cerotti

Ci era nato, con le orecchie a sventola.
I suoi genitori gli avevano preparato un nome gentile e leggiadro, da angelo biondo, Gabriele, e lui era nato con le orecchie a sventola. Si erano annunciate prima ancora che mettesse la testa fuori, inceppandosi nel canale del parto e rendendo il tutto molto più lungo, difficoltoso e doloroso del necessario. Uscite loro, il resto era stato uno scherzo, come un tappo incastrato che si sblocca.
Mamma, nonne, zie e madrine sferruzzarono un intero assortimento di cuffiette per nascondere l’obbrobrio, pregando la Madonna che col tempo si aggiustasse da solo. Una cuffietta per ogni occasione, a casa e fuori, d’estate e d’inverno, e tutte calcate ben strette nella speranza che un po’ alla volta domassero l’intemperanza di quelle due escrescenze carnose.
Poi venne l’epoca della scuola, e con essa quella dei cerotti. La mamma gli lasciò crescere i capelli come una femminuccia per coprire i cerottini con i quali forzava le alucce di Gabriele a starsene appiccicate alle tempie.
Alle superiori ebbe una grande intuizione: scoprì che le ragazze subivano il fascino dell’eroe ferito, e si incantavano davanti a ginocchia, gomiti o altre parti scoperte suggellate da cerotti. Così, per meglio convivere con quelli che teneva gelosamente nascosti sotto i capelli, cominciò a esibire cerotti visibili di guasti inesistenti, e a darne conto alle ammiratrici con spiegazioni rudi e laconiche che le facevano arrossire di piacere.
“Niente, una pallottola di striscio”.
oppure
“Roba da poco, la freccia di un Comanche”.
Il patatrac successe quando la biondina più ambita della terza C, infiammata d’ormoni, lo baciò sulla guancia scompigliandogli audacemente i capelli e scoprendo così il suo vergognoso segreto. Gabriele, sopraffatto dal disonore, si ritirò da scuola e rinunciò alle donne.
Ora al mattino si alzava presto per seguire suo padre al mercato, dove avevano un banco di ortaggi, e aveva escogitato un’altra buona scusa per portare tutto l’anno un berretto di lana calcato sulle orecchie incontinenti e incerottate:
“Otite cronica”, spiegava.
E le comari si intenerivano:
“Poverino, così giovane! E ti fa tanto male?”
E lui, virilmente ma sinceramente: “Sopporto”.

Gli affari andavano bene.
C’era, al banco di fronte, una ragazza con i capelli rossi che vendeva piantine di salvia e rosmarino. Gabriele se ne innamorò senza speranza, conscio della sua deformità, e quando lei lo guardava di sottecchi e gli sorrideva da dietro il basilico lui si girava e la sfuggiva dietro le pere William. Ma l’Elisa sapeva quello che voleva e non si fermò davanti a tanta timidezza. Un giorno, mentre a mercato finito stavano tutti sbaraccando, gli si presentò davanti e in tutta franchezza gli dichiarò il suo sentimento. Gabriele sentì il calore e il rossore partirgli dal cuore e risalire al galoppo fino al collo e alle orecchie, tanto che avvertì chiaramente i cerotti staccarglisi dalla pelle per l’emozione.
“No, no, tu non sai… – provò a difendersi – Non sai chi sono io veramente!”
E pazzo d’amore si strappò berretto e cerotti: “Lo vedi, sono Dumbo!”
Elisa si era portata le mani sul cuore e guardava con espressione rapita quelle esuberanti sporgenze.
“Ma sono adorabili! Ti stanno benissimo, parlano di te, della tua grinta e della tua fragilità insieme. Le coprirei di baci!”
“No, no, dici così perché ti faccio pena – Gabriele sprofondava nell’umiliazione.
“Ti amo davvero, così come sei, e non vorrei nessun altro che te. Oh, come vorrei svegliarmi ogni mattina accanto alle tue orecchie!”
Le orecchie, l’incredulo Dumbo se le tappò con le mani e scappò disperato a nascondersi, mentre Elisa, affranta, lo implorava inutilmente:
“Pensaci! E quando ti sentirai pronto, sai dove trovarmi. Io ti aspetterò!”

“Capperi, queste sì che sono orecchie a sventola! – il commento ammirato era proprio sfuggito di bocca al chirurgo estetico. – Ma lei non si preoccupi, un’incisione qui e un’altra qui, non sentirà niente, e tra quindici giorni, quando toglieremo i cerotti, nello specchio vedrà un altro uomo”.
Per te, Elisa. Lo faccio per te – così si faceva coraggio Gabriele, mentre si stendeva sul lettino e si lasciava sommergere dall’anestesia.
Per Elisa sopportò il dolore postoperatorio, il gonfiore, il pizzicore, l’odore del disinfettante, il bendaggio stretto come quello che mettono ai morti intorno alla testa. Si chiuse in casa a ruminare rovelli esistenziali, ricordando le ultime parole di Elisa e chiedendosi se fosse stata davvero sincera. Perché in quel caso, era chiaro che era fottuto. Aveva sacrificato per vanità la parte di sé che lei giurava di amare di più, le orecchie che lei desiderava trovare sul suo cuscino ogni mattina della sua vita.
Il giorno dell’ultimo controllo varcò la porta dell’ambulatorio con passo da sonnambulo (non dormiva da quindici giorni) e l’aria lugubre di un condannato. Il chirurgo si complimentò ugualmente per la sua buona cera e si dispose a contemplare il successo dell’operazione; l’infermiera cominciò a svolgere le bende intorno al viso di Gabriele con una lentezza desolante. Erano peraltro metri e metri, un bel pacco, una specie di pannolone a strati, e intanto Gabriele ebbe tutto il tempo per darsi dell’imbecille. Ma ormai il disastro era fatto, Elisa era perduta per sempre.
“Ecco, adesso finisco io – intervenne il chirurgo nel momento cruciale – Restano da togliere gli ultimi due cerotti, e poi vedrà, vedrà che capolavoro le ho fatto!”
Dumbo prese in mano lo specchio che gli porgevano, chiuse gli occhi, inspirò a fondo, li riaprì e si abbandonò inerme al suo destino.
Via un cerotto.
Via anche l’altro.
Per un istante tutti trattennero il respiro: quelle che sporgevano – appena appena – dalla testa di Gabriele non erano più due ali sfacciate bensì due armoniose, proporzionate, invidiabili conchiglie rosate dal portamento perfetto.
Le ammirarono commossi senza una parola, come davanti all’improvvisa rivelazione di uno spettacolo della Natura.
Ed ecco che proprio allora, in quel momento di incanto sospeso, le orecchie di Dumbo sembrarono destarsi, tremarono leggermente; poi si scartocciarono, prima una – slap – poi l’altra – slap – come una corolla che sbocci e si dispieghi al sole sotto una spinta imperiosa e, non più trattenute dalle ingabbiature, le bende e i cerotti di tutta una vita in cattività, ripresero gagliarde la loro naturale posizione a bandiera.
“Forse li abbiamo tolti troppo presto, quei cerotti… – fece in tempo a esalare il chirurgo prima di svenire.
“Troppo presto? Al contrario: speriamo che non sia troppo tardi! – esclamò Dumbo euforico. Abbracciò l’infermiera, rincuorò il dottore e uscì nel corridoio a vele spiegate.
Lungo le scale, accese il cellulare, e chi lo incrociò lo sentì giubilare nel telefono: “Pronto! Pronto! Sono pronto!”

Questo stupidesso partecipa all’eds lanciato dalla Donna Camèl in lieta compagnia con:
C di magneTICo sul blog okkietti spenti
Principesse di Dario sul blog Solo Testo
Catena di perle di Lillina sul blog Ora e qui
C come cioccolato di La Donna Camèl sul blog Il diario intimo della Donna Camèl
Carta e Corsa 5 di La Carta sul blog La Carta
E Cenere ritorneremo di Hombre sul blog La Linea d’Hombre
Cera fusa di Mai Maturo sul blog Mai Maturo
SpeakerMutismo AKA La centrifuga di SpeakerMuto sul blog Radio Free Mouth

21 thoughts on “Storia d’amore e di cerotti

  1. Per tutte le trombe d’Eustachio: un audiolibro! Anche l’altro che aveva fatto qualcosa “per Elisa” aveva problemi d’orecchie. Si legge Dumbotto.

  2. è dura dover portare il peso degli accessori ingombranti, non me ne parlare… non si riesce a trovare un paio di mutande che vadano bene.

    muahahahahah!

    si scherza, l’unico accessorio veramente ingombrante che possiedo è il naso. per fortuna si riesce a nascondere bene.
    a carnevale.

  3. oh sì, il racconto è tenerissimo.
    e anche bello.
    sono io che c’ho lo stomaco in subbuglio perché mi si è svegliato un ricordo.
    da bambina ho visto una bimba che forse allora aveva la mia età tutta fasciata perché le avevano tagliato le orecchie a sventola. con un intervento chirurgico, per carità. ma a me fa impressione ancora adesso se ci penso…

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