Donne in quarta

Su, fate i bravi, non siate banali, trattenevi dall’alludere, ammiccando, alla storiella delle volpe e dell’uva; lasciatemi dire, piuttosto, cosa penso della pubblicità mendace. E mi riferisco a quella perpetrata da certe scrittrici (gli uomini li prenderò casomai in considerazione in seguito) che invadono la quarta di copertina con affascinanti ritratti di sé medesime volti ad accreditare presso il pubblico dei lettori una propria immagine sublimata. Io, di costoro, diffido.
Per raggiungere l’effetto più incisivo, la scrittrice si affiderà al suo agente, generalmente un bel marpione. Costui le suggerirà tutti i dettagli cui attenersi, dal maquillage all’abbigliamento, dall’espressione del viso alla posizione delle mani, e curerà con altrettanta minuzia la scelta dello sfondo.
Per esempio, la scrittrice italiana nasce avvantaggiata. Per cominciare, potrà/dovrà avvalersi di uno pseudonimo affascinante corredato da due o anche tre cognomi dal sapore vagamente rinascimentale, o al minimo umbertiano. Si farà ritrarre in abiti  esclusivi ma sobri, niente gioielli o al più un anello, importante, che confonda le idee sul suo stato civile, e alle spalle potrà scegliere il panorama più consono alla sua cifra stilistica. Se il suo genere è la narrativa d’atmosfera, si farà trovare su una terrazza colma di piante verdi e affacciata sui tetti di Roma, seduta a un tavolino davanti a una tradizionale macchina per scrivere e a una pila di libri visibilmente vissuti. Se i suoi romanzi contengono un certo tasso erotico e le sue eroine sono donne decise e spietate, riceverà il fotografo in un luminoso appartamento milanese tutto cromo e cristalli; in questo caso è concesso un paio di orecchini sadomaso, e eventualmente l’ostentazione delle gambe inguainate in seta fumé. Nell’angolo del divano, è raccomandata la presenza, casuale, di una copia del Sole 24 Ore. La mistica che canta l’amore impossibile oppure il fantasy crepuscolare sarà sorpresa dall’obiettivo nella nicchia di una finestra affacciata su una valletta umbra o toscana, e porterà una gonnellona a fiori e una sciarpa a frange oppure un amuleto esoterico. L’ora migliore, il tramonto autunnale. Si alluderà, discretamente, alla vicinanza con una antica abbazia diroccata e forse infestata da fantasmi medievali.
La scrittrice francese esibirà un boudoir sulla rive Gauche stipato di abat-jour con le perline e di bomboniere d’argento; la sua postazione di lavoro sarà un prezioso tavolino antico spiritosamente sdrammatizzato da un femminile disordine di carte e posacenere fra i quali è opportuno venga installato un gatto placido dal pelo folto (un angora o un persiano vanno benissimo, si possono noleggiare facilmente in un buon negozio di animali). Indispensabile che da un angolo della finestra in fondo si intuisca lo svettare della torre Eiffel. O in alternativa che i cieli siano bigi e vi si veda fumare, dai mille comignoli,  Parigi. Quella che invece giocasse il personaggio schivo, si sarà ritirata in una dimora di campagna in Provenza e si presenterà in una linda cucina aperta su un giardino dove pascolano candide oche e prospera la lavanda. Farà la sua bella figura anche un cesto rustico di mele posato casualmente su una sedia impagliata.
Anche la scrittrice inglese punterà molto sulla natura, prediligendo la vecchia villa georgiana e il prato impeccabile. Ma si renderà ancora più plausibile fra le pareti foderate di libri del suo studiolo, in cui non mancheranno per alcun motivo un caminetto, un levriero e una collezione di teiere. Se è in età, imiterà l’acconciatura della Regina e avrà una stola di cachemire a cingerle morbidamente le spalle. Il tweed invece è da scartare perché ormai fuori moda.
Di scrittrici americane esistono varie tipologie. Quella di successo che descrive ambienti e vicende altolocate da soap-opera gronderà gioielli vistosi e un look da red carpet; la più avanzata versione di Photoshop le garantirà un incarnato radioso e levigato da eterna Barbie anche in età ampiamente postmenopausale. Il salone hollywoodiano alle sue spalle sarà arredato con mobili antichi, leziosi, pacchiani, sovraccarichi di fiori e portafotografie. L’intellettuale tormentata avrà trovato pace e ispirazione nei quieti boschi del Connecticut o sulla costa del Maine; d’obbligo un maglione sformato, un paio di sneakers e un’espressione pensierosa con lo sguardo rivolto all’oceano livido e inquieto in fondo a un molo di legno, fra gabbiani, ventaccio e nuvole basse. La nuova stella del firmamento postmoderno invece brillerà in un attico lievemente e volutamente malconcio al Village, con arredi improbabili, stravaganti e multicolori e gaiamente ornato di megaposter di rockstars. Sono ammessi bicchieri sporchi per terra accanto al futon, ma si dovrà intuire che hanno contenuto solo perrier o gatorade. Tira molto anche lo sfondo di un allegro ranch con cani, puledrini e tanti figli, almeno cinque, metà dei quali evidentemente adottati; questa location si presta particolarmente alla scrittrice leggera, brillante e politicamente corretta.

Tutte le ambientazioni summenzionate, soprammobili compresi, possono essere affittate tramite apposite lussuose agenzie per il pomeriggio necessario alla mise en scène, oppure riprodotte secondo modelli standard in un teatro di posa di proprietà della casa editrice. Per la tariffa, trattativa riservata, ma ci pensa il marpione (l’agente).
In tutti i casi, nessuno escluso, nelle quattro righe di didascalia al ritratto il soggetto riuscirà a comunicare al pubblico un unico e univoco messaggio, valido a tutte le latitudini: che non si capacita del successo, che non è minimamente interessata al denaro, che la scrittura l’ha aiutata a crescere, che alle serate mondane preferisce la quiete di casa sua e che deve tutto alla sua meravigliosa famiglia che l’ha sempre sostenuta con amore e pazienza.
Fa niente se detto soggetto è fisicamente una cozza, anagraficamente una zitellona e culturalmente un’impedita. Fa niente se detesta i bambini e gli animali e invece adora sbronzarsi e giocare a bridge. Dove non arriva Photoshop, il marpione arriverà a scritturare una controfigura.

Cosa di cui mai sentirà il bisogno una come Margherita Hack, Dio la benedica per l’onestà e lo spirito.
Ecco, di lei sì che mi fido.

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