Metropolis

Allora, ci sarebbe questo nuovo eds della Donna Camèl che potrebbe inaugurare la nuova stagione, e io non so se ci sto dentro, però giuro che la prima regola l’ho rispettata: meno di mezz’ora per il testo, più di un’ora per trovare ‘sto schifo di immagine. La seconda regola, sinceramente, non so, e non sta nemmeno a me dirlo. Ma siccome l’importante è comunque scrivere, partecipo lo stesso, e mal che vada mi direte buuuuuuuuuu!

 

 

Mi sto mettendo un cerotto sul dito appena massacrato con una lattina di sprite quando telefona Bud.
– Vieni subito, devo dirti una cosa.
– Dove?
– Da Jocker, dove sennò?
Io Bud non lo sopporto mica tanto; è il tipo che telefona sempre tutto trafelato preannunciando novità cosmiche e poi sono solo bolle di sapone. Comunque vado, tanto per passare la serata.
Jocker però è chiuso, stanno facendo non so che lavori e sul marciapiedi è pieno di calcinacci, così mi metto all’angolo ad aspettare Bud, che naturalmente non c’è, è in ritardo oppure non verrà proprio per niente. Infatti non viene, ma telefona di nuovo.
– Guarda – dice –  ci vediamo un’altra volta, adesso è più urgente che vada dal Polacco che mi deve dare un pezzo di ricambio.
Il Polacco è polacco proprio per niente, è tipo siriano o marocchino, che ne so, comunque arabo. Mi viene adesso il dubbio che sia piuttosto portoricano; comunque quel fenotipo lì, per capirsi. Traffica in pezzi di ricambio, come dice lui, o in viscere di auto cannibalizzate come dice Bud. Auto rubate, sospetto, anzi so per certo.
Dopo un po’ Bud chiama di nuovo:
– Dovresti venire qua subito, ho una cosa pesante da portare e non ce la faccio da solo.
– Qua dove?
Mi dice dove, è a casa del diavolo.
– In macchina, naturalmente. Ti dico che è pesante.
– E da quando in qua ho la macchina, io?
– Il furgone?
– Cristo Bud, è della ditta! A quest’ora sta chiuso in garage.
– E non hai le chiavi, scusa?
– Ma tu sei scemo.
– Beh vieni a piedi, in due ce la facciamo.
Prendo un paio di autobus e arrivo al piazzale sotto lo svincolo dove Bud mi aspetta ormai da un’ora. Intanto in effetti si è fatto buio. Bud è seduto su un plinto di cemento e si tiene vicino uno scaldabagno vecchissimo modello.
– Sarebbe questo il pezzo di ricambio per la Chevy? – sogghigno. Bud è proprio tutto fuori.
– Ti pare un pezzo di ricambio di una Chevy? È uno scaldabagno. Usato ma funzionante. Solo che pesa una madonna. Bisogna farlo rotolare.
– Il Polacco si è sbagliato, a quanto pare.
– Il Polacco neanche visto, ho sentito che è al fresco per qualche giorno. Questo affare qui me lo ha trovato uno del giro, non chiedermi il nome perché è di quelli che non vogliono pubblicità.
– E dove lo vuoi portare, l’affare?
– Lo porto a Mama Ruby. E tu mi aiuti.
Mama Ruby è una vecchina che giù nel Bronx ha tirato su decine di bambini di strada, compresi me e Bud, finché i servizi sociali non hanno trovato che la cosa era irregolare e l’hanno fatta smettere. I bambini di strada sono cresciuti e forse grazie a lei sono diventati un po’ meno delinquenti di quello che ci si aspettava, così ora sono loro che pensano a lei e la vanno a trovare e le portano cose e badano che non le manchi niente.
Bud ha un pezzo di corda. Se lo è fatto dare in omaggio dall’innominato per aiutarsi a trasportare l’aggeggio, ma dopo un paio di tentativi conviene con me che non serve un granché.
– Dovremmo prendere un mezzo.
– Non ci faranno salire, figurati.
– Già. Penseranno che siamo terroristi. Chiameranno la polizia. Finiremo male.
– Un taxi. È l’unica. Lo paghi e non ti fa domande.
– Lo dici tu, i taxi hanno la radio, avvertono la polizia, il pentagono, la guardia nazionale.
– Vuoi dire che lo faremo rotolare fino al Bronx? Ottima idea. Passeremo del tutto inosservati.
– Insomma mi aiuti o no? Possiamo fingerci due idraulici che vanno a fare una consegna.
– Alle otto di sera. A piedi, senza furgoncino, senza sacca degli attrezzi.
– A piedi, alle otto di sera. Un’urgenza. Può essere, no?
Cominciamo a spingere, e la cosa si rivela subito scomodissima. Oltretutto la gente si gira a guardarci. Un gruppetto di neri sghignazza.
– Ma cos’è tutto questo fracasso?
– I tubi. I raccordi. Li ho ficcati dentro, e dentro rotolano anche loro.
– Hai pensato a tutto. Giusto per dar meno nell’occhio.
– Senti, perché non te ne torni a casa e mi lasci fare questa cosa da solo in pace? Eh?
– Sei tu che mi hai chiamato. Occhio al marciapiede.
– Sì ti ho chiamato io ma adesso ho cambiato idea.
Continuiamo a spingere, piegati in due. Ogni tanto ci raddrizziamo e spingiamo con i piedi, ma l’affare perde un po’ il controllo.
– Di questo passo arriveremo domani mattina.
– Tanto Mama Ruby non lo sa, non è mica lì ad aspettarci. Spingi e taci.
È notte fonda quando una macchina col lampeggiante accosta. Siamo lungo una avenue che nemmeno conosciamo, procediamo a naso nella direzione che ci sembra quella giusta ma senza alcuna certezza. E stiamo sferragliando in modo vergognoso, seguiti da lunghi sguardi di tossici, ubriachi e prostitute di colore che sembrano non stupirsi più di tanto, anzi ci trovano simpatici.
Il poliziotto stende un braccio fuori dal finestrino.
– Bisogno di una mano? – chiede sarcastico, sottintendendo tutt’altro.
Non ci eravamo preparati una risposta, così ci fingiamo sereni e lucidi, impegnati in una cosa normalissima, come far rotolare uno scaldabagno per mezza città a mezzanotte suonata, ma lui insiste:
– Cos’è quell’affare?
– Uhm, forse uno scaldabagno? – ammicca Bud, pensando che fare lo spiritoso possa rivelarsi una strategia vincente.
– E dove lo portate, sentiamo?
– Beh ecco, lei non ci crederà ma è un regalo. Per beneficenza.
Il poliziotto inarca le sopracciglia: deve averne sentite tante, ma mai come questa.
– Vediamo. Beneficenza, eh? Magari per una vecchina che vive in una soffitta senza acqua calda, senza ascensore, senza nessuno che la aiuti?
Trasecoliamo.
– Allora la conosce anche lei? Mama Ruby?
Il poliziotto impietrisce e diventa subito serissimo.
– Mama Ruby? Giù al Bronx? Quella Mama Ruby?
– Quella. La migliore. L’unica.
Il poliziotto scende immediatamente, ci abbraccia ululando, valuta il peso dello scaldabagno, poi insieme lo sistemiamo nel portabagagli e ci fa accomodare accanto a lui sul sedile anteriore. Partiamo a razzo con la sirena, dandoci pacche di amicizia sulle ginocchia e rievocando i vecchi tempi in cui Mama Ruby ci ha salvati dalla strada e ci ha passato le prime sigarette.
– Gran donna!
– Grandissima!
– Si merita un monumento, si merita. Io sarei finito in sanatorio senza di lei!
– Io al riformatorio, anzi ci sono stato, ma lei mi ha tirato fuori!
– Io poi sono diventato poliziotto invece di fare il ladro, pensa tu!
– Sai come sarà contenta di vederci!
– E dello scaldabagno!
– La prossima volta le troviamo una lavatrice, le troviamo!
– Avvisatemi che vi aiuto con la macchina. Però non ditemi dove l’avete presa, perché non voglio saperlo.
– Fratello?
– Fratello!
– Fratelli! 

*   *   *

Partecipano con me:
– Pendolante con 33 minuti
– SpeakerMuto con Il regalo di compleanno (V.M. 18)
– lillina con Pane al pane
– la Donna Camèl con Il festival degli ormoni
– Dario con Gianni e Cettina
– La Carta con Prova prova sa sa sa
– MaiMaturo con Fast and Furia

11 thoughts on “Metropolis

  1. Pingback: 33 minuti | Pendolante

  2. ho letto questo racconto solo una volta, non ho commentato, cercavo parole che non fossero solo bravissima, bellissimo, sai fare magie ecc ecc
    Poi mi entrato in testa ci credi che ho sognato la scena come fosse la scena di un film ? Ancora ora non mi capacito del fatto che io quella scena l’ho solo letta una volta, e che andavo pure di fretta…..

Rispondi a SpeakerMuto Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.


*