La guardiana di oche

Il nostro era un villaggio felice. Poche anime, una dozzina di famiglie in tutto, e ognuna aveva la sua casupola col tetto di paglia e fango, la sua mucca, le sue galline, l’orticello e il gatto. Gli uomini andavano nel bosco a far legna e a cacciare, le donne lavavano i panni nel torrente e cuocevano delle gran zuppe sui focolari; non ci mancava niente, nemmeno la benevolenza del nostro barone, Bonocòre di Monteplacido, che non ci strangolava di tasse, al contrario si accontentava di un cestino di ciliegie o una dozzina di uova ogni tanto. La valletta era inondata dal sole e punteggiata di fiori; la terra era fertile e vi cresceva ogni cosa. Ma la cosa più bella era che si andava tutti d’accordo, in armonia e senza brutti pensieri, cosicché era un piacere viverci.
Poi un giorno arrivò da noi un forestiero. Non veniva mai nessuno, perché il villaggio era così piccolo e isolato da non avere nemmeno un nome, perciò forse la nostra ospitalità fu eccessivamente entusiastica e, come capimmo troppo tardi, anche abbastanza ingenua.
Era un vecchio alto, magro e coperto di stracci, dai quali sbucavano braccia e caviglie nere di sudiciume e così stecchite che nell’insieme pareva un albero seccato da un fulmine. Portava una lunga barba incrostata e un bastone, più adatto a minacciare che a essere di appoggio. Si annunciò come un monaco predicatore, in cammino da molti anni col solo conforto della fede e delle elemosine. Subito gli offrimmo da mangiare, da bere, da riposare. Mentre si ingozzava di oche arrosto e gran boccali di sidro, noi donne gli lavammo gli stracci al torrente e gli scaldammo dell’acqua perché potesse lavarsi anche lui, ma non parve interessato a questo programma igienico – che pure non gli avrebbe fatto male – e preferì approfittare subito di un giaciglio accanto al fuoco, dove dormì tre giorni di fila. Noi, zitti per non disturbarlo. Perfino le mucche trattennero i muggiti, i neonati se ne stettero buoni buoni e nessuno si azzardò a fischiettare tornando a casa dai campi la sera.
Quando il buon uomo si svegliò, gli fu servita una nuova abbondante colazione con focacce al miele e torte di sanguinaccio, e poi ci sistemammo tutti seduti intorno a lui per sentire cosa aveva da dirci.
L’albero secco si erse in mezzo a noi, girò lo sguardo severo tutt’intorno e finalmente parlò:
– Allora – disse – vediamo: chi di voi è il pastore?
Alzammo la mano tutti quanti.
– Io ho tre capre e una vacca!
– Io di capre ne ho solo una, ma ho anche un maialino!
– Io, sette capre!
Alzai la mano anche io, orgogliosa del mio lavoro:
– Io pascolo oche! Dodici oche una più bella dell’altra, bianche come cigni e grasse… grasse come oche!
Ma non era quello che il monaco voleva sentirsi rispondere, e ci fulminò con lo sguardo:
– Pastore nel senso di pastore di anime, intendo! Chi è il vostro pastore? Qui non ho visto né una pieve né una cappella né uno straccio di chiesucola: chi è che provvede alle vostre anime? – tuonò l’albero secco agitandosi in una collera apocalittica – Volete dirmi che siete una setta di eretici, che avete rinnegato Dio e la sua Chiesa? Che siete figli del demonio?
Ecco una cosa che ci mancava. Uno crede di avere tutto, e poi scopre che gli manca un pastore di anime. No, non lo avevamo, un pastore di anime. Noi, come dire, ci pascolavamo da soli. Andavamo a messa due sole volte l’anno, a Natale e a Pasqua, al castello del barone Bonocòre, ma ci volevano due giorni di cammino, e mica potevamo permettercelo tutte le domeniche.
Era furibondo. Pareva lui il demonio, con gli occhi iniettati di sangue e il fumo che gli usciva dalle narici come un drago.
– Iddio vi punirà! Ascoltatemi bene: Iddio ascolterà le mie preghiere e vi manderà una piaga terribile, mai vista prima!
– … cavallette?
– Troppo poco!
– … mosche?
– Di più, di più!
– … rane?
– Peggio. Una piaga che non riuscite nemmeno a immaginare. La Paura!
Infatti non riuscivamo a immaginarla; perciò chiedemmo spiegazioni:
– Ma paura di cosa?
– Paura! Paura di tutto! Non una paura qualunque, ma La Paura! Vi entrerà nelle vene, vi invaderà l’anima, diventerete degli spettri! Ah, voi non sapete cosa vi aspetta! Avrete paura di voi stessi, delle vostre stesse facce, e delle cose più innocenti, come la brocca del latte, le pietre del fiume, gli uccelli sugli alberi, il sole che vi guarda, i vostri pagliericci! Vi pentirete di essere nati! Paura di giorno e di notte! Una Paura che vi paralizzerà, e non riuscirete a fare più niente, camminare, sedervi, vangare la terra, mungere le vacche, accarezzare i vostri bambini! Ah, i vostri bambini! Loro saranno colpiti quanto voi, il veleno della Paura contagerà anche loro, e sarà tutta colpa vostra! Desidererete solo morire, e non ci riuscirete, perché la Paura è più forte della stessa Morte.
Doveva essere davvero una piaga tremenda, questo lo capimmo. Ci guardavamo pallidi e tremanti e ci sembrava che la paura che già provavamo fosse più che sufficiente, come piaga, invece c’era da aspettarsene una molto più grande, che poteva arrivare in qualunque momento e distruggerci. In un attimo ogni cosa perse la luce, la gioia, i colori, e il nostro piccolo villaggio ridente ci sembrò sbiadire come un fantasma nelle nebbie spesse di una palude di totale infelicità.
Il profeta se ne andò recitando infuocate maledizioni verso il Cielo e sottolineandole con veementi gesti delle braccia; ci lasciò così, in preda alla paura di una cosa chiamata Paura.
La notte non dormì nessuno, e la mattina dopo si cominciarono a vedere gli effetti dell’anatema: una dopo l’altra, le famiglie raccolsero le loro masserizie su carretti e carriole e lasciarono il villaggio con le facce smunte e invecchiate, in mesto esodo verso il castello del barone per mettersi sotto la sua protezione. I camini smisero di fumare, le braci si raffreddarono, i cortili rimasero deserti.
Rimanemmo solo in tre. Noi tre.
La vecchissima Brigida perché da piccola si era persa nel bosco ed era stata allevata dai lupi, e da allora non aveva paura di nulla nella vita.
Malvino perché era lo scemo del villaggio e ciò lo rendeva immune da qualunque paura, vera o inventata.
E io, sola a mondo, perché ero innamorata di Malvino e l’unica cosa che mi faceva paura era vivere lontana da lui.
Continuavo a pascolare le mie dodici oche, che continuavano a essere bianche e grasse, e lui mi faceva compagnia. Ci stendevamo sull’erba, che continuava a essere verde e cosparsa di fiori, e guardavamo il cielo, che continuava a essere azzurro e pieno di sole. Io gli facevo delle domande, come:
– Ma tu davvero non hai paura, Malvino?
E lui mi dava sempre risposte bislacche, come:
– Guarda Fiammetta, guarda quella nuvola! Non ti sembra la valvola di decompressione di un acceleratore positronico di isoscuotoni delta?
– Cosa sono gli isoscuotoni, Malvino?
– Ma che bella che sei, Fiammetta! Sei bella come Michelle Pfeiffer in Tequila connection!
Chissà di cosa stava parlando, ma io capivo che era una dichiarazione d’amore.
E i giorni passavano sereni come era sempre stato, le oche ingrassavano, i meli davano frutti copiosi, Brigida ci cucinava delle focacce squisite, la valletta era il nostro paradiso e di Paura neanche l’ombra.

Alla fine dell’inverno partorii un figlio a Malvino; Brigida mi aiutò e feci tutto in poco tempo e senza troppa paura. La vita andava avanti così bene che la felicità riuscì perfettamente a farci dimenticare la maledizione che incombeva su di noi. I primi tempi ci chiedevamo se e quando sarebbe arrivata, quella maledetta Paura, ma poi ci convincemmo che forse il vecchio monaco era caduto in un burrone prima di aver pregato abbastanza. Ora invece ci chiediamo che fine avranno fatto gli altri, quelli che hanno lasciato il paese e si sono rifugiati al castello. Magari da quel giorno se ne stanno chiusi dentro quelle mura spesse, oppressi dalla paura di qualcosa che forse non arriverà mai, rinunciando a vivere sotto l’arco azzurro del cielo e tra i profumi dei prati.

Sono passati anni. Malvino e io siamo sempre insieme, e con noi ci sono ormai cinque figli, belli come me, biondi come Malvino e sani come la felicità. Brigida ha passato il secolo ma non se ne preoccupa; ogni tanto prende su e va nel bosco a trovare i suoi amici lupi. A volte si porta dietro i due bambini più grandi, che tornano a casa felici raccontandomi storie meravigliose del bosco e dei suoi abitanti. E così crescono in età e in sapienza, e noi tutti qua coltiviamo il nostro amore e non ci manca nulla.
La Paura annunciata da quel lugubre profeta, ho paura che non verrà mai.

* * *

Con questa panzanella in costume chiedo umilmente di partecipare all’Eds 27 spousev paura! bandito dalla Donna Camèl, insieme a:
– lillina con Vite malate
– MaiMaturo con 0.10.35
– Hombre con Wonderwall
– Dario con I guerrieri del caos
– Pendolante con Il collega
– Hombre con Cimici
– MaiMaturo con Il prescelto
– La Donna Camèl con Gatto nero
– Pendolante con Racconto banale

15 thoughts on “La guardiana di oche

  1. Eccomi…l’ho letto con l’attenzione che merita.
    Bellissimo post sulla paura “generalizzata”, quella con la “P” maiuscola.
    Brava Melusina, un rientro in campo alla grande! 😀

  2. Pingback: Il collega | Pendolante

  3. Ragazzi, che bello ritrovarvi! Grazie per il bentornata: mi ero allontanata un attimo per combattere contro un drago, ma alla fine gliele ho suonate di santa ragione :-)

  4. Pingback: Racconto banale | Pendolante

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