Latte o limone?

Anni ’60, le festicciole dei ginnasiali si tengono il sabato pomeriggio, in casa, tassativamente fra le 16 e le 19.
Il gruppetto della quinta A si è dato appuntamento sotto i portici della scuola per andare tutti insieme a casa di Isabella, quella nuova, quella ricca, quella con l’autista che la porta e la riprende, quella tutta perbene ma ancora tanto spaesata. I ragazzi per l’occasione hanno raccolto i soldi e acquistato un 33 giri di Toquiño e Chico Buarque de Hollanda, una cosa raffinata e un po’ esotica insomma, non le solite canzonette.
La casa è in cima a una stradina in salita; quando arrivano davanti al cancello sono già spettinati. Il vialetto taglia un giardino pieno di alberi un po’ trascurati, un tappeto di foglie secche ocra, rosse e arancioni che il vento perenne gira di qua e di là, e in particolare attorciglia alle caviglie.
Sulla soglia, ad attenderli, la bella emozionata Isabella con un abito color pesca matura tutto a sbuffi e merletti, affiancata da cameriera con crestina pronta a ricevere giacche e cappotti, e non accetterà rifiuti. Sulle sue braccia si ammucchiano un po’ vergognosi giubbotti di tweed grezzo e sciarpe rosse, fucsia o dell’Inter. Sul lindo pavimento dell’ingresso, foglie fradice entrano insieme alle scarpe non proprio lucide.
Si accomodano in un salotto un po’ troppo formale per i loro gusti, tutto cuscini di velluto color zabaione e nappine alle tende, più un cane quasi arancione, un cocker dall’espressione scostante che al loro ingresso, invece di fare le feste, abbandona il tappeto e la compagnia. In sottofondo, ballabili americani degli anni ’40 e chansonniers francesi, mentre Toquiño e Chico Buarque de Hollanda sono rimasti su un tavolino di ninnoli ancora avvolti nella carta da regalo. E pensare che con quel disco erano convinti di fare bella figura.
Non sanno cosa dire, di cosa parlare. Gonfiano i loro sorrisi per simulare piacere, eccitazione e divertimento, ma il ghiaccio è duro da rompere. Isabella doveva averlo previsto e infatti ecco saltar fuori una scatola piena di fotografie. Si siedono in circolo intorno a lei e si dispongono pazientemente a passarsele una dopo l’altra: Isabella da piccola, Isabella alla prima Comunione, Isabella a cavallo, Isabella in Svizzera sugli sci, Isabella e il cucciolo, Isabella a Parigi, a Londra, davanti alla Sagrada Familia, sotto il Corcovado.
“Se volete, vi mostro la mia camera – propone speranzosa al termine.
In processione, consapevoli dei loro maglioncini fatti dalla mamma, delle calzamaglie di filanca, dei pantaloni di tutti i giorni senza piega, mettono il naso dentro la stanza crema e rosa della bella Isabella, con fotografie di cavalli dappertutto, in cornici d’argento.
I maschi sono sempre più in imbarazzo, le femmine occhieggiano l’arredamento e i particolari sofisticati, che ricordano tanto i rotocalchi delle mamme o le scene di certi film americani. E mentre si chiedono cosa ci faccia una loro coetanea così snob in una città schietta di mare, vento e pietra carsica come quella dove sono nati loro, ecco che arriva l’ora del tè.
“Latte o limone?”
Perché è questo il rinfresco: tè e pasticcini, serviti in modo raffinato e scomodissimo dalla cameriera del rotocalco insieme a salviettine così candide e preziose che nessuno si azzarderà a usare. Qualche stomaco quindicenne brontola, coperto inutilmente da colpetti di tosse finta.
Nel frattempo, si sono fatte le sei. Ospite e ospiti hanno esaurito le loro risorse di reciproco intrattenimento, ma non si sa come darci un taglio. Inaspettatamente, è Adria a risolvere, Adria, la capitana della squadra di pallavolo, quella con più note sul registro, quella capace di fare a botte con i maschi. Con incredibile faccia tosta arrossisce e si tormenta le mani, emettendo una vocina indifesa:
“Scusate, ma si sta facendo tardi e io ho paura del buio…”
Ci mettono un attimo a capire, e poi tutti ad assecondarla. Le altre femmine di colpo sono tutte in agitazione, i maschi le calmano offrendosi di accompagnarle a casa. Si congedano un po’ frettolosamente, con goffe strette di mano e assicurando che è stato tutto bellissimo.
“Grazie per essere venuto, grazie per essere venuta – dice meccanicamente Isabella a tutti, uno per uno. La cameriera distribuisce pastrani e sciarpe, il portone di casa si apre e via, sono liberi.
Ma Adria non ha finito. Lungo il vialetto ha scorto un albero di cachi, già così maturi e arancioni da risplendere come lanterne accese nell’imbrunire della sera. Cosa le salta in mente, come le viene in mente il tocco finale, la firma su quel pomeriggio insipido… si avvicina alle fronde più basse e, con uno stecco raccolto tra le foglie, incide occhi, naso e bocca sulla buccia tesa dei frutti. Gli altri la imitano, ridacchiando (“Tu, Roby, controlla che non ci guardino da qualche finestra”), e in breve tutti i cachi raggiungibili vengono sottoposti al trattamento.
E ora scappano, fuori dal triste cancello, giù per la discesa, correndo a zig zag, liberando risate sguaiate, lanciando in aria sciarpe e berretti.
“Chissà domani che colpo quando vedono i cachi che ridono!”
“Io ho fameee! – grida uno.
“Tutti in Città Vecchia! – grida un altro.
In Città vecchia, dalla Siora Rosa, in quella bettola fumosa dove per pochi soldi ti fanno panini enormi farciti di prosciutto tagliato grosso, senape e una spalmata di crauti saporitissimi da farti venire le lacrime agli occhi.
“De bever cossa volé, muli? – chiede burbera Siora Rosa.
“Aranciata, aranciata, aranciata!”

*    *    *

Scherzosamente scritto per l’Eds arancione del grande cocomero, bandito dalla Donna Camèl che ormai tutti ben conoscono…
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12 thoughts on “Latte o limone?

  1. Pingback: Giuseppe | Pendolante

  2. Mi hai fatto ricordare un mio compagno del liceo, figlio di ammiraglio… povero ragazzo, sempre col cravattino… :-)

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