Lettere dal fronte .4

Cara sorella,
ieri abbiamo ricevuto una visita. A dorso di mulo, con taccuino e macchina fotografica, è arrivato fin quassù un giornalista, uno di quegli inviati di guerra che vanno in giro come posseduti dalla parossistica missione di cacciare il naso raccogliere testimonianze. Subito ci siamo innervositi. “Oh no – ci siamo detti – questo si ferma a pranzo di sicuro”. Perché, capisci, noi avevamo i polli contati, uno per ciascuno, e Pierrot li stava già facendo girare tutti e diciassette sullo spiedo. Per fortuna il tipo aveva le sue razioni d’emergenza: gallette muffe e mezza fiasca di orzo annacquato, così ci siamo messi tranquilli.
Lui si è messo invece a caccia di notizie, esaminando con aria stoicamente partecipe tutti gli aspetti della nostra routine e dimostrando di non capire un cazzo prendere lucciole per lanterne a ogni piè sospinto.
Quando mi ha visto piangere desolatamente, ha annotato sul suo taccuino che i lunghi mesi di isolamento hanno minato irrimediabilmente il controllo emotivo dei soggetti più fragili. Invece stavo sbucciando un secchio di cipolle, e Dio sa se non mi stavo già pregustando la soupe à l’oignon della cena
Quando ha visto Tonton e Fifi affacciati alla trincea a sbracciarsi rivolti agli altri di là, ha preso nota che le munizioni sono ormai finite ma la determinazione di combattere ha trovato un’altra strada, quella dell’insulto. Invece quelli si stavano raccontando barzellette da caserma a gesti e le loro non erano imprecazioni guerresche ma sani sghignazzi da osteria.
Quando ha visto il tenente steso sulla branda con una benda sugli occhi, ha scritto un poema sul nostro comandante che era stato ferito alla testa e rischiava di perdere la vista ma sopportava eroicamente la menomazione rifiutando di essere trasferito. Invece stava smaltendo il Calvados della sera prima, quando aveva fatto le ore piccole giocando a poker con quei tre bari di Dodo, Momo e Jacquot.
Poi si è impuntato a voler prendere delle fotografie, e questo ci ha dato parecchio fastidio. Gli interessavano particolarmente le latrine, il che ci ha fatto capire che era proprio un pervertito. Insomma, non lo volevamo più fra i piedi. Così siamo andati a svegliare il tenente e gli abbiamo detto “Faccia qualcosa lei, perché qua c’è uno che ci sta sputtanando infamando”. Il nostro tenente è un grand’uomo, uno che sa sempre come liberarsi dagli impicci anche quando è ubriaco indisposto (per dire, dal carcere di Nantes è evaso due volte, e da quello di Tolosa tre). Al giornalista ha fatto un bel discorso. Gli ha detto che qua siamo in zona di guerra, in una postazione di altissimo valore tattico e strategico, e che qualsiasi fuga di notizie avrebbe compromesso irreparabilmente non solo la nostra incolumità ma le sorti stesse della guerra, e che pertanto lui si trovava nella scomodissima posizione di rischiare di essere passato per le armi immediatamente e sul posto per alto tradimento, a meno di non girare le chiappe e sparire alla nostra vista entro un minuto esatto, ma non prima di aver consegnato gli appunti e il rollino fotografico. Nel frattempo, Philou dava una pacca sul deretano del mulo, cosicché il povero inviato non solo se l’è filata senza farsi pregare, ma ha anche dovuto scapicollarglisi dietro (inutilmente) giù per la discesa con rovinosi scivoloni e cadute.
E noi ci siamo finalmente messi a tavola in santa pace. Non chiediamo altro.
Un fraterno abbraccio dal tuo affezionato

Damien

poscrittum: no che non ci sono rimasto male se Ermeline ha deciso di rompere il fidanzamento con me e di sposare Perpignol. Lui me lo ricordo, è quel gobbetto che fa il calzolaio di fianco alle pompe funebri. Ma questa Ermeline, scusa se te lo chiedo, chi è?

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