E invece ce l’ho fatta!

Snoopy_linguaccia
Eccomi qua, casa nuova e vita nuova. Ho lasciato la vecchia pelle su Splinder e ora ho una casa nuova su Altervista da arredare e fare mia. Bucciadimela resterà di là, qui non l’hanno voluta perché pare ce ne sia già un’altra (grrr… ma come si è permessa??).
Vorrà dire che da oggi comincia l’era di Melusina, e quando vi racconterò chi è la troverete mille volte migliore della buccia che l’ha pallidamente preceduta.

A PRESTO!

Olografo

Morisot

Un po’ mesta per il terzo decesso in famiglia nel giro di un mese (ma l’età media sfiorava i 90 anni, quindi era più che fisiologica), decisamente stressata per il corollario di incombenze tristi e/o pesanti (gimcane fra ospedali e case di riposo prima, imprese mortuarie e cimiteri dopo) e francamente preoccupata per il colossale lavoro di sgombero e spartizione degli effetti rimasti – nel bene e nel male – in eredità, ma tuttavia nel pieno delle mie facoltà mentali e prima ancora nella consapevolezza di godere, compatibilmente con l’età, un’ottima salute fisica e una imperterrita intenzione di continuare a vivere e ad agire ancora per parecchio (e quando dico parecchio intendo parecchio), sto pensando che sia comunque opportuno, per ridurre al minimo le seccature a chi mi sopravvivrà, stabilire fin d’ora i pochi punti essenziali che riguarderanno, a suo tempo, il dopo-me.
Premesso che, se anche sulla carta, per la legge sulla comunione dei beni sono proprietaria di metà degli averi di famiglia, io in realtà non mi sono mai sentita proprietaria di alcunché ma solo utente a tempo definito, immagino che almeno su alcune di queste proprietà mi venga riconosciuto un diritto diciamo così morale; esse sono principalmente gli effetti personali, i libri e il computer.
Poco o nulla di valore venale.
Io farei così, e lo dico a voi, carissime figlie mie: per i vestiti e gli accessori, dato che non sono né di vostro gusto né della vostra taglia (io un tisico 38, voi un sano 40), c’è la Caritas, con quei bei cassonettoni gialli ben visibili. Per quelle due collanine d’oro della laurea e di qualche compleanno, per le poche pietre dure da bancarella, per gli orecchini etnici che non porto mai, vedete voi, spartiteveli senza litigare o scambiateli con qualcosa che vi piaccia di più presso qualche orafo di paese, ma non fateci troppo conto.
Per i libri, tanti, tantissimi, che ho comprato (e che è più che probabile che continuerò a comprare fino all’ultimo) tutti io, dato che solo io ne leggo in casa (ma vi perdono, eh, non preoccupatevi), voglio donarli in blocco a una biblioteca, una ben precisa che vi indicherò a parte, dove mi piace pensare che il mio spirito passerà di quando in quando a sfogliarne qualche pagina.
Le mie cassette di musica anni ’70, via direttamente nel bidone dei rifiuti secchi; idem i pochi cd di musica classica, che voi non ascolterete mai, a meno che non riusciate a donarli a qualcuno, perché non illudetevi che ci sia un mercato conveniente per questi oggetti.
Ho una quantità anche di riviste di cucina e di ricamo, nonché di filati, uncinetti, schemi di punto croce e attrezzature per lavori creativi femminili che la mia vista non è più in grado di eseguire. Trovate un centro sociale, un laboratorio per la terza età, una scuola di cucito presso qualche parrocchia e disfatevi a cuor leggero di tutti quei miei sogni infranti. Le ricette di cucina tenetele per voi: molti piatti che adesso vi preparo so che vi piacciono molto, e potreste volerli preparare a vostra volta per i vostri compagni e i vostri figli, se mai vi deciderete a mettere su famiglia (ma fidatevi di me: non c’è fretta).
Cosa resta? Il computer. Ma è la cosa più facile di tutte: il computer, per favore, lo formattate di brutto, che non ci resti dentro neanche un mini-mini-minibit di nulla, nemmeno la più risibile traccia di me e di quello che ne ho fatto in questi anni. Niente di ciò che ho scritto e affidato al computer deve sopravvivermi, perché non ha questo gran valore adesso, e figuriamoci quando non ci sarò più. Quindi forza e coraggio, senza tanti scrupoli FORMATTATE TUTTO.
Ultima cosa: formattate anche me. Sapete bene come, è deciso da anni: una bella, igienica e praticissima cremazione, e non se ne parli più. Non voglio messe da morto, né tombe né fiori. Voglio solo fare in fretta e non disturbare. Non credo nell’aldilà, quindi non andrò da nessuna parte e non me ne importa: mi importa invece fare quello che devo fare e farlo al meglio mentre sono e sarò aldiqua, e cioè, come ho detto sopra, ancora per parecchio ma parecchio ma parecchio tempo.
Contateci come credo abbiate sempre potuto contarci: è una promessa olografa.

Venerdì pesce

frittura

No, non l’ho preparato io: è un piatto di frittura di scampi e moleche dalla leggerezza e sapidità sublimi, come lo si può trovare solo nel mio ristorante preferito di Venezia. Perché oggi è lì che ho passato la giornata: pura evasione, e sacrosanta. Clima giusto, itinerari appartati, nessuna fretta: insomma, una botta di relax, per disintossicarmi dallo stress prolungato delle ultime settimane. Ma che dico settimane: mesi. Una giornata non basta, ma aiuta, se non altro a recuperare un minimo di di fiducia e di senso della realtà.

Al ritorno, i miei gatti hanno riconosciuto il rumore della macchina e si sono fatti sul cancello per accogliermi, mentre il cane, sul retro, si è messo a saltare di gioia come se non mi vedesse da Natale. Poco dopo è rientrata anche la figlia laureanda con le copie della tesi fresche di rilegatura: una goduria toccare e annusare quelle copertine color crema con il suo nome e il logo dell’Università. Infine, nella posta ho trovato alcune belle notizie che hanno contribuito a rinfrancarmi, a farmi intravedere migliore il domani.
Già, domani. Domani espierò con mocio, folletto, lavatrici, fornelli e ferro da stiro, ma forse ripartirò con un po’ più di carica. Ora doccia e nanna, come reclamano le mie caviglie, che oggi hanno dato il massimo dato che, quando torno nella mia città, disdegno meticolosamente qualsivoglia mezzo di trasporto e me la giro in lungo e in largo sempre e solo a piedi. Avete un’idea di quanti giapponesi riescono a stiparsi su un vaporetto? E se rimane ancora posto, ci pensano i tedeschi, i francesi, i polacchi e perfino gli italiani. E allora, in quella calca, schiacciare una buccia come me è un attimo.
Dunque, buonanotte.
E buon domani.

Insignificanze

Klee_cat(sarebbe un buon titolo)

L’obiettivo, non ci piove, è raggiungere una buona essenzialità. Fin qui siamo tutti d’accordo. L’essenzialità fa bene perché chiarisce, semplifica, riassume e quindi non stanca. Niente stress. Lo stress è uno spreco.
Tuttavia il primo passo, cioè distinguere l’essenziale, non è poi così semplice come alcuni mi vengono a dire. L’essenziale non si crea e non è automatico. L’essenziale si deduce, si filtra, si scava da una miniera di materiali variamente amorfi o disordinatamente polimorfi, di quelli che ci riempiono cassetti e ripostigli, nascosti agli ospiti, accantonati per noia o rimorso, disamati per smemoratezza.
L’essenziale è il prodotto finale di un processo di disamina e selezione che ricomincia ogni giorno e richiede una tenacia quasi ottusa, insensibile al sospetto che l’impresa sia futile, oltreché spesso faticosa., a volte perfino dolorosa, o quantomeno molesta. Ma ogni tanto anche esaltante o addirittura esilarante, se porta a riscoprire nel guazzabuglio qualche motivo – rimosso – di stupore. È quello che si prova nel ritrovare in soffitta un regalo di qualche Natale, poco giocato e presto oscurato, e lo si riporta alla luce per rifarci amicizia.
Scrivere è il modo più efficace per rovistarsi dentro e tentare l’inventario. L’obiettivo – l’essenziale – sarà quel mucchietto lucente che separeremo dagli scarti, ma solo a patto di aver rigirato bene il calderone e smosso tutte le pietre del fondo, per riguardare e riguardarci, per riconoscere, rinominare, spesso riamare, dopo molti dubbi e pena e rammarico, perché di ciò che è stato non sapremmo cosa buttare. Siamo fatti, ammettiamolo, di avanzi, di cocci, di bucce, di esuberi, di specchi deformanti, di teoremi non provati e sogni non omologati. Un bagaglio che cresce ogni momento di peso e valore.
Va a finire che si tiene, si tiene, si tiene tutto.