I diritti del lettore secondo Pennac # 4, 5

Ancora sui Diritti del Lettore secondo Daniel Pennac.

4. Il diritto di rileggere

Soprattutto quando non c’è in vista una lettura intrigante, oppure si sente il bisogno di una vacanza mentale prima di affrontare qualcosa di nuovo o impegnativo, tornare su testi già letti e collaudati è un conforto. È un po’ come tornare in un posto conosciuto e amato, di cui si sente la nostalgia e dove si sa già che ci si troverà bene, a casa, fra amici.
C’è chi afferma che rileggere è una perdita di tempo rispetto a una lettura nuova; che è sentimentalismo. A volte sì, è per debolezza che ci si rifugia nel già letto; oppure è per sopportare meglio una certa stanchezza, una certa sfiducia, che si torna sui propri passi, con l’idea di andare sul sicuro, di evitarsi delusioni.
Ma rileggendo si finisce spesso con lo scoprire che a distanza di tempo i buoni libri non solo continuano a trasmettere sensazioni, ma ne suscitano di diverse e spesso sorprendenti, perché il tempo che è passato ha reso diversi noi e il nostro piano di lettura, la nostra visuale, la nostra reattività. Rileggere un libro in realtà è un po’ rileggere dentro noi stessi e contarci l’età, i cambiamenti, gli arricchimenti oppure le perdite; è un po’ rifare il punto delle nostre esperienze, guardarci allo specchio e conoscerci un po’ di più.

5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa

Giusto: riprendiamoci il diritto alle letture informali, cialtrone, svaccate. Capita di attraversare periodi di apatia mentale in cui un po’ di abbrutimento non può peggiorare le cose più di tanto, e poi anche la mente più fulgida e pura ha bisogno ogni tanto di staccare la spina.
Ci prenderà il senso di colpa per aver tradito i nostri amici ufficiali, i nostri sodali, i condiscepoli della nostra setta esclusiva, con i quali ci atteggiamo a lettori esigenti e selettivi? Ci vergogneremo di noi al punto di non confessare le nostre debolezze?
Sbagliato.
La passione per la lettura di cui tanto ci vantiamo implica il pregio vizioso (o il prezioso vizio) della curiosità. E’ quella che seguiamo quando, ben nascosti e in incognito, apriamo uno di quei libri proibiti, messi all’indice dalla giuria degli intellettuali duri e puri cui guardiamo come a un faro, e ce lo sciroppiamo con inconfessabile delizia. Del resto, come potremmo parlare noi pro o contro (possibilmente contro, ci auguriamo) di un best seller da ombrellone senza averlo letto? Ce lo faremo prestare da una biblioteca oppure da un conoscente dal palato più facile del nostro, ma in qualche modo lo leggeremo, lo espugneremo, ci faremo una ragione del suo successo, verificheremo di persona i gusti dei milioni di lettori entusiasti, sonderemo i perversi meccanismi che determinano la popolarità di uno scrittore (e ne fanno la fortuna, quella finanziaria) a prescindere dal suo valore e spesso in totale assenza dello stesso.
In parole povere ma oneste: il Codice Da Vinci – beninteso, sempre che riusciamo a superare le prime cinque righe senza arrenderci alla rivelazione che si tratta del più indegno trash mai letto da occhi umani – leggiamolo pure alla luce del sole e ammettiamolo a testa alta. Solo dopo, ma con cognizione di causa, lanceremo la nostra liberatoria vendetta, proclamando il verdetto di una totale e sdegnatissima stroncatura.

I diritti del lettore secondo Pennac # 2, 3

Sempre dal decalogo degli Imprescrittibili Diritti del Lettore secondo Daniel Pennac:

2. Il diritto di saltare le pagine

Sì sì, è vero, questo è un diritto inebriante, una volta che si sia preso coscienza che non è un dovere morale leggere parola per parola un trenta-quaranta pagine di fila di sole descrizioni di paesaggi o elucubrazioni cervellotiche che non siano inconfutabilmente funzionali alla vicenda.
Gli sbrodolamenti, i fronzoli superflui, le disquisizioni accademiche, ma in genere tutto ciò che tende a rallentarci il ritmo di lettura, ad allungare il brodo e a collocarsi nella categoria volgarmente definita “delle seghe mentali”, ci è lecito tagliarli prima che ci privino del piacere di finire un libro che magari per molti altri versi è valido.
O l’autore preferirebbe che, presi da sfiducia e sbadigli, mollassimo tutto?
Un lettore che salta le pagine – a meno che non sia per colpevole pigrizia – andrebbe preso molto sul serio dallo scrittore in questione, perché se lo fa non può essere che per un motivo: la noia. Lo scrittore probabilmente non si rende conto di avere scritto quelle trenta-quaranta pagine di noia. Per lui erano pagine profonde, magari liriche, magari così rifinite da ritenerle il clou dell’intera opera; ma se il lettore le salta perché ci si annoia, perché gli pare che siano ininfluenti, perché a lui non dicono niente, lo scrittore dovrebbe rifletterci. Può significare che quelle pagine saltate, scartate, in pratica rifiutate, contengano solo messaggi personali che l’autore invia a se stesso, uno scambio di complimenti fra sé e sé, un esercizio di vanità privata che si trasforma in una pubblica incomunicabilità. Quando cioè lo scrittore scrive solo per se stesso e perde di vista il suo lettore, quest’ultimo, che è molto più obbiettivo, se ne accorge, ci resta male e lo punisce.
Saltando le pagine.

3. Il diritto di non finire un libro

Ah sì: il lettore è tristemente consapevole che non gli basterà una vita per appagare la sua smania di lettura, perché leggere non è una professione remunerativa ma una necessità privata che richiede tempo e condizioni ambientali favorevoli, due requisiti sempre troppo difficili da trovare. Liberarsi dalla falsa idea che portare a termine un libro, anche se non piace, sia un obbligo morale è un comportamento di semplice e sacrosanta autodifesa. Rifiutiamo questa coscienza ligia e miope e abbracciamo senza rimorsi la fede della libertà di accantonare, che ci eviterà la frustrazione di spendere il nostro poco tempo al servizio devoto di un’autodisciplina senza scopo, ma al contrario ci permetterà di riservare la dovuta accoglienza ad altre letture, più soddisfacenti e convincenti.
Un libro non finito non è un libro cestinato, non lo bruceremo né lo cancelleremo dalla mente: lo terremo parcheggiato sotto gli altri, giusto un po’ in disparte, nel baule delle cose lasciate a metà (ne collezioniamo tante ogni giorno, in fondo), ad aspettare, magari inutilmente ma non è mai detto, che ripassi il suo momento e che noi lo sappiamo riconoscere.

I diritti del lettore secondo Pennac # 1

Pennac

Ho finito da poco di rileggermi quasi tutto ciò che ha scritto Daniel Pennac, un uomo/un mito, per me. Guarda poi com’è carino anche in foto: è decisamente il mio tipo. Così insomma ecco mi è venuta voglia di buttar giù qualche considerazione personale a proposito del suo celeberrimo decalogo dei Diritti Imprescrittibili del Lettore, e oggi vi rifilo il mio commento al primo. Poi per gli altri si vedrà.

1. Il diritto di non leggere

Mettiamola così: se non esistessero quelli che non amano i libri, noi lettori non potremmo ritenerci un popolo di privilegiati. Sì, perché confessiamolo: ci sentiamo adepti di una setta giusta, detentori di una verità esclusiva; ci consideriamo, rispetto ai non-lettori, persone superiori per sensibilità, intelligenza, cultura. Siamo portati a deridere con sufficienza coloro che non hanno ricevuto la nostra rivelazione, quella che dietro la copertina di un libro si sveli un intero universo parallelo dove si rincorrono e si alternano sensazioni e opportunità migliori, più affascinanti e soprattutto liberatorie. Siamo dell’idea che chi non varca quella porta resti schiavo della barbarie, dell’oscurantismo, della piattezza quotidiana, mentre noi ce ne affranchiamo.
Ma in fondo, riflettiamoci, è libertà la nostra che ci incatena alle pagine scritte e alle illusioni che contengono, o lo è quella di chi non avverte il bisogno di sfuggire alla realtà attraverso i sogni degli scrittori? Non sarà che sono più realizzati e più consapevoli i non lettori, quelli che sono esenti dalla nostra passione (e ogni passione contiene in sé i germi dell’asservimento) e possiedono invece in se stessi la capacità di gestirsi, di bastarsi?
Ammettiamolo: troppo spesso ai nostri sentimenti, alle nostre gioie oppure sventure, alle stesse decisioni che prendiamo, noi diamo il volto, il nome, i gesti e la partecipazione di quei personaggi di carta e inchiostro nei quali ci immedesimiamo con ardore. La nostra passione per i libri, per le storie raccontate, non sarà una fuga da un’identità imprecisa – la nostra – che ci va stretta, che si dimostra quotidianamente inadeguata?
Spero di no. Spero caldamente di no.
Ma se anche fosse, mi riconosco il diritto di essere umile e eternamente schiava delle catene della lettura, finché morte non ci separi.

Della scrittura e della rete

snoopy_computer

Da tempo ho la sensazione che stiamo assistendo a una diffusa deriva (nel senso del disimpegno dei contenuti) all’interno dei gruppi usenet, e a un contemporaneo ed esponenziale diffondersi dello strumento blog come nuovo e più agile mezzo di comunicazione e diffusione. Ammetto di aver guardato a lungo a quest’ultimo fenomeno con una certa diffidenza, anche insospettita dal proliferare di prodotti scarsi di significato o di qualità scadente, come sempre avviene nelle mode di massa. Tuttavia a me pare evidente che il deterioramento di usenet sia una realtà, e che abbia allontanato molti utenti che, come me, in passato ne ricavavano in modo più puntuale ciò che la rete prometteva: scambi di opinioni su temi che stanno a cuore, su argomenti scelti, su passioni sentite e perseguite. E la mia impressione è che molte di queste persone insoddisfatte abbiano spostato la loro attenzione e il loro impegno sul versante del blog, intravedendo la possibilità di continuare a usare la rete per trasmettere e ricevere ma da un osservatorio meno caotico, più controllabile e quindi più sereno e magari più redditizio. Attraverso un blog si spera sia di nuovo possibile esprimersi e dialogare senza incorrere in continue dispersioni e senza lasciarsi soffocare da improprie rumorosità di fondo, come sta accadendo un po’ ovunque in usenet. E’ come se ai grandi e vocianti gruppi storici dove prevale la sopraffazione gratuita si stesse affiancando un mondo di salotti privati in cui la parola ritrova posto, dimensione, rispetto, ascolto. E la platea, il pubblico preventivabile, non è certo meno numeroso, anzi: forse invece è più attento e motivato.
Non ho molta esperienza in materia, ma mi sento un po’ transfuga da usenet e sto sondando un nuovo terreno, con una gran voglia di ricominciare e di sentirmi a mio agio.
Tra i pochi che mi leggono, c’è qualcuno che abbia voglia di dire la sua in proposito?