Rattle rattle

Stanno tutti bene.
Alle quattro di mattina uno non è che si attacca al telefono, soprattutto se è sceso in strada e ha verificato che le case sono tutte in piedi e i gatti continuano a dormire tranquilli nei cestini sotto la pergola. Qualcuno non è nemmeno arrivato a tanto: alcune finestre sono rimaste chiuse, alcune luci esterne non si sono accese. Il Vicino Becero è stato il primo a precipitarsi in giardino in pigiama e ha preso a inveire secondo una logica tutta sua contro quelli che “non hanno sentito niente“, forse perché si aspettava macerie e sfollati per fare un comizio contro Romaladrona. Invece attraverso il piazzale si sentiva solo la voce stridula della Vecchia Pazza del paese, che dal balcone strepitava “Gavìo sentìo el taremoto?” come se fossimo in strada perché avevamo tutti avvertito all’unisono il desiderio di sgranchirci le gambe alle quattro di mattina di domenica.
Io ho scambiato due frasi solo col Vicino Sposino in ambasce, per suggerirgli di fare come me: togliere la chiave di sicurezza dal portone e rientrare a cercare notizie in televisione. In televisione non c’era ancora niente, ma twitter fibrillava, e di questo gli rendo merito.
In quei primi pochi istanti, comunque, ho pensato ai miei cari e all’ordine di precedenza da dare alla mia apprensione per ciascuno di loro. Con sollievo ne ho spuntato subito almeno due: mia figlia a Parigi che di certo dormiva dopo aver dato un esame alla Sorbonne, e mio fratello in vacanza che in quei minuti stava atterrando a Phoenix, Arizona. L’altra figlia non sono mai esattamente informata su dove si trovi, ma a occhio poteva essere a letto nel primo sonno dopo il turno di notte allo studio televisivo, e poteva essere anche in compagnia, per quello che ne so (cioè niente), ma comunque abita a pianterreno e quando dorme (cosa che avviene spesso anche in orari a me incomprensibili) è meglio non svegliarla perché morde.
Mia sorella l’ho trovata in tempo reale su twitter, e così ci siamo scambiate le prime notizie rassicuranti, seguite più tardi da una telefonata con tutti i dettagli e anche parecchie altre chiacchiere. Da lei, piatti e bicchieri che ballavano, da me ballavano i lampadari e un quadro di Saetti sopra la scrivania si è inclinato. Abbiamo convenuto entrambe sull’onomatopea del rumore che ha accompagnato la scossa: era rattle rattle.
Ho pensato anche al mio amico che sta a Modena e gli ho mandato una mail, cui ha risposto in mattinata dicendosi illeso ma un po’ contrariato perché sperava di averli lasciati nella sua Sicilia, i terremoti.
Quindi stanno tutti bene.
Io non mi impressiono facilmente, nel senso che riconosco l’imparità delle forze in campo, quindi tanto vale stare a vedere come va senza mettere in atto soluzioni più drastiche e inutili del semplice scendere in strada fintantoché passa almeno la scossa più forte. Devo confessare però che stanotte sono dovuta tornare di sopra un attimo perché nella fretta avevo dimenticato gli occhiali sul comodino, quindi probabilmente in quei momenti non avevo a disposizione tutto il mio sangue freddo. Per la notte in arrivo, e che già è stata preceduta da ulteriori scosse minori – l’ultima, per esempio, due minuti fa -, mi attrezzerò meglio. E vedrò di non dimenticarmi anche il cellulare.

Certo che in ogni caso, con quel che passa il convento di questi tempi, uno non sa dove trovarla, la vena giusta per fare un minimo di letteratura spicciola da blog.

Tornare a Itaca

Ogni tanto ci torno, a Itaca.
Più che altro torno per vedere come stanno, se stanno tutti bene, se c’è qualcosa da cambiare, aggiustare, rinnovare.
Finché va tutto bene, sto bene anche io, perché posso dirmi “Allora, anche se parto di nuovo, qui lascio tutto in ordine, e potrò tornare un’altra volta, magari fermarmi un po’ di più, o per sempre, se ci riesco”.
Finché la mattina si aprono le imposte e i traghetti lasciano gli attracchi e il caffè si scalda sul fornello e qualcuno lava via il piscio di gatto della notte; finché i bambini vanno a scuola e le donne al mercato e i pensionati a vedere i treni alla stazione e i bottegai mettono fuori la merce e spazzano la soglia; e i preti dicono messa per le vecchiette che si alzano presto e osservano il digiuno e quando tornano a casa danno da bere ai fiori e al canarino e rassettano il letto e accendono la radio; finché i morti vanno a San Michele in pompa magna, in corteo attraverso la laguna, traslocando solo temporaneamente in un’isola ancora più bella, più silenziosa e placida; finché tutto continua così, finché stanno a galla loro malgrado e malgrado il peso dei marmi e dei mosaici e della pietra e della Storia; fino ad allora ci tornerò. Ogni tanto, quando posso. Il più spesso col pensiero, o con la musica. Violoncello e clavicembalo insieme fanno miracoli.