Nozze di campagna

Per il matrimonio della Romilda, in paese si fa festa tre giorni.
Gli uomini si sono grattati la barba dura e lustrati le scarpe scomode dei funerali; le donne hanno tirato fuori dall’armadio i vestiti seri e ci hanno cucito su dei colletti di pizzo che scoprono appena la gola. Per mesi hanno fatto filò nella stalla raccontandosi storie di altri matrimoni e di tutti i figli e i nipoti che ne sono nati, mentre gli aghi disegnavano cifre abbracciate sugli orli delle lenzuola.
Le vecchie hanno lucidato la chiesa e sistemato vasi di aspidistra sui gradini dell’altare, genuflettendosi ogni volta che passavano davanti al Santissimo. Ai bambini sudici sono stati tagliati cortissimi i capelli sudati, e il pomeriggio li sentivi provare i canti in oratorio col cappellano impaziente ed eccitato.
È stata una grande estate di sole e nebbioline sulle montagne lontane; ha piovuto il giusto per le vigne, il vino sarà un buon vino quest’anno.
In tutti i cortili fin dal mattino hanno messo lunghi tavoli e tovaglie di corredo, perché si banchetterà in ogni casa e gli sposi saranno ospiti di tutti.
Romilda e il suo viso arrossato, chiusa nella camera dei suoi, si spoglia con vergogna davanti alla madre prima di indossare quel vestito duro e ingombrante dove ha aggiunto fiocchi di raso sulla modestia della scollatura e bottoncini di madreperla dappertutto. Quando si avvicina allo specchio le sue scarpe scricchiolano e il cuore traballa. I guanti traforati della nonna e delle bisnonne sono stretti per le sue mani forti che non sa come nascondere. Le danno un mazzo di calle e margherite, e lei si affaccia sul ballatoio di legno, tutta bianca se non fosse per il nero inquietante dei capelli e quello liquido degli occhi.
Giù dalla scala aspettano le donne del cortile già andate spose prima di lei, e le amiche giovani che da oggi avranno un sogno in più da mettere via.
I mormorii tacciono quando il padre lucido di un geloso amore le prende il braccio e lo aggancia con fermezza al suo, e tutti dietro in processione orgogliosa attraversano le strade del paese sotto i balconi infiorati di drappi rossi e battimani.
Romilda cammina rigida e felice e spaventata tra un battito e l’altro del suo cuore nuovo, e anche a lei sembra di stare affacciata a una di quelle finestre a bagnarsi gli occhi di emozione per la Sposa che va in chiesa.
La aspettano seduti di sghembo sui banchi mentre l’armonium e il profumo dei gigli stordiscono il cielo pastello a stelline sopra la navata.
E laggiù, spaventato e orgoglioso quanto lei, c’è quel ragazzo mai visto prima col vestito nero, i capelli biondastri ben incollati su quella testa matta che l’ha incantata un mattino di biancospino sul sentiero del frutteto.
Quel ragazzo che oggi diventa uomo mentre si inginocchiano accanto su un banco per loro due soli come il letto dove da stasera, dopo le benedizioni, gli abbracci, i fiori e le foto, il giubilo del sole, le corse dei bambini, il pane e il sale, il vino e i baci, concepiranno i loro figli e tutto il resto ancora a venire del loro breve, terreno ed eterno amore.

L’immagine è una vecchia cartolina di Fara Novarese, il paese natale della mia nonna materna. Da bambini ci andavamo a fine estate, per la vendemmia. Un paio di volte ho partecipato anche io a uno di quei matrimoni festosi e interminabili, che finivano con tutti i grandi rubizzi di vino e allegria, e noi piccoli lasciati liberi di rincorrere galline e sporcarci dalla testa ai piedi (ché poi la sera ci si lavava i piedi alla pompa, e tanto bastava). Sono fiera del mio quarto di forte sangue contadino; gli altri tre quarti sono languidamente veneziani, ed è una bella lotta.

Album

Eccola qua

stazione Fara

La stazione del paesetto da dove proveniva la nonna materna: Fara Novarese. La fotografia risale a… non so di preciso, direi un’ottantina di anni fa. E ne saranno passati una buona quarantina dall’ultima volta che sono andata lì. Così, preferisco ricordarmela com’era, con i suoi odori e la sua polvere, quando ci arrivavo da bambina per passare con la nonna il periodo della vendemmia.
E qui ce n’è un’altra. So che non interessa a nessuno, ma mi sento di fare un omaggio privato alla nonna Luigia, la figura femminile più importante della mia infanzia e ancora adesso il pensiero familiare che più mi dà sostegno nel bisogno. La nonna Luigia era un angelo.

stazione Fara