Don DeLillo: End zone

Dopo la morte di David Foster Wallace, mi sono attaccata ancora di più a Don DeLillo nel tentativo di colmare quel vuoto. Mi dico: meno male che c’è rimasto lui, meno male che ha scritto tanto e pare abbia ancora la voglia di continuare, e allora che Dio ce lo conservi un altro po’, dai.

End zone, che prende il titolo da un termine tecnico del football americano, è un romanzo del 1972, ma inspiegabilmente non era mai stato tradotto in italiano fino a quest’anno. È appena il secondo romanzo di DeLillo, che all’epoca aveva 36 anni, eppure è sorprendente l’evidenza del suo talento già compiuto, in nulla inferiore a quello espresso nei romanzi successivi della maturità. La vicenda è quella di un giovane che trascorre un anno in un college dove si incentiva lo sport del football americano, del quale DeLillo è sempre stato un grande appassionato e conoscitore. Si tratta di uno sport in cui la fisicità e l’agonismo sono esasperati al massimo, secondo alcuni una specie di metafora della guerra, anche se, come dice uno dei personaggi, «io rifiuto il parallelismo tra football e guerra, la guerra è guerra. Non abbiamo bisogno di succedanei dal momento che abbiamo l’originale». Il football è al centro del romanzo – che contiene fra l’altro la lunghissima e mirabile descrizione di una partita all’ultimo sangue, una vera e propria prova d’Autore. Ma altri sono i temi toccati: lo spettro della guerra nucleare, l’incomprensibilità della vita, la paura della morte. Il libro racchiude in pratica le inquietudini della generazione di giovani americani degli anni ’60, iniziati con l’assassinio del presidente Kennedy nel 1963 e segnati dalle minacce della guerra fredda e dall’incubo del Vietnam. DeLillo in ogni suo libro ha cantato l’America come un grande Paese contraddittorio; il suo è una specie di canto addolorato e a volte rabbioso, una denuncia accorata dei mali che lo attraversano e lo destabilizzano. Questo non è un romanzo riposante, di evasione. Nessuno dei romanzi di DeLillo lo è. Al contrario, è un romanzo denso, che scava e illumina, in cui ogni parola e frase è necessaria e al suo posto, che si tratti di elucubrazioni mentali, di descrizioni liriche dei paesaggi o di dialoghi solo apparentemente disimpegnati tra studenti.
Leggetelo se già vi piace DeLillo o se almeno siete interessati al football americano.
Leggetelo se vi pare che i due brevi frammenti trascritti qui sotto vi ispirino rispetto e ammirazione per questo grande autore, che cerca in ogni suo scritto di interpretare la coscienza globale dello spirito americano.

“Non voglio sentire nemmeno una parola sul valore del retaggio di una persona. Sono un individuo del ventesimo secolo. Mi sto esercitando a raggiungere uno stadio dell’esistenza che vada al di là della colpa, al di là del sangue, al di là del ridicolo passato. Meno male che esiste l’America. In questo paese è possibile raggiungere un obiettivo del genere. Io voglio guardare dritto davanti a me. Voglio vedere le cose con chiarezza. La storia non è la più accurata delle profezie. Io rifiuto il Dio iracondo degli ebrei. Io rifiuto il Dio cristiano dell’amore e del denaro, sebbene non rifiuti l’amore in sé o il denaro in sé. Io rifiuto l’idea di retaggio, origini, tradizione e diritto di nascita. Queste cose non fanno che rallentare il progresso della razza umana. Generano solo guerra e follia, guerra e follia, guerra e follia”.

“Qual è la cosa più strana di questo paese? Ecco la risposta: che quando mi sveglierò domani mattina, una mattina come tutte le altre, il primo pensiero spaventoso non saranno i nemici della nostra nazione, i nemici storici contro i quali combattiamo la nostra guerra fredda o la guerra comesichiama. Quella gente lì non mi fa affatto paura. E allora di chi ho paura io, perché non c’è dubbio che io abbia paura di qualcosa. Ve lo dico subito. Ė il mio stesso paese a farmi paura. Io ho paura degli Stati Uniti d’America. Ė ridicolo, non è vero? Ma è così. Prendiamo il Pentagono, per esempio. Se mai qualcuno ci ucciderà su vasta scala, questo sarà il Pentagono. Su piccola scala invece dovete stare in guardia dalla polizia locale. Può capitare che due agenti gentili, laureati e garbati, della squadra che si occupa del lavaggio del cervello vengano a bussare a casa mia alle tre di notte? Voi vedete il mio sorriso accattivante e contagioso e capite che questo pensiero non mi provoca alcuna ansia. Dopotutto siamo in America. Possiamo parlare liberamente. Non smetto di dirmi che non ho motivo di preoccuparmi finché la gioventù americana sarà consapevole di quello che le succede intorno”.