Posto l’ultima parte delle mie considerazioni in merito ai Diritti Imprescrittibili del Lettore secondo Daniel Pennac.
9. Il diritto di leggere a voce alta
Su questo diritto non mi pronuncio perché non ne sento, personalmente, il bisogno. Non leggo a voce alta perché non sono io, non è la mia voce, che darebbe voce al libro, ma è il libro stesso che mi parla nella mente, e con la sua voce. È lui che parla, e io devo solo ascoltarlo. Allo stesso modo, non riesco ad ascoltare un libro letto da altri: è come se, passando attraverso la voce, la pronuncia, la declamazione di un altro, il libro perdesse qualcosa della sua identità e arrivasse a me mediato da un estraneo, quando invece ciò che mi aspetto dalla lettura è lo stabilirsi di un ponte diretto e molto privato fra me e il racconto, senza suggeritori né spettatori. Ricordo molto bene quando e perché ho imparato a leggere: ero ancora troppo piccola per la scuola, ma già non mi bastavano più le storie raccontate da altri, i libri letti da altri. Volevo impossessarmi io di quelle storie e quegli oggetti chiamati libri, volevo gestirli, spadroneggiarli e tuffarmici dentro di persona, volevo essere io a esplorarli e a trovarne il significato, il mio significato e non l’interpretazione di qualcun altro; probabilmente non mi rendevo conto – a cinque anni – che già allora il mio rapporto con la lettura era quello di una profonda interazione, uno scambio intenso e senza intermediari.
10. Il diritto di tacere
Pennac si riferisce alla facoltà di non rispondere cui può appellarsi un lettore interpellato su un libro letto, o meglio sulla sostanza di cui è fatto il rapporto che lo lega alla lettura. Anche lui, Pennac, sa benissimo che si tratta di un rapporto troppo intimo per venir condiviso facilmente, per venir addirittura reso a parole senza timore di un travisamento. E’ un po’ quello che dicevo nelle mie considerazioni sulla lettura ad alta voce: tra lettore e libro intercorre un legame troppo personale per poter essere ridotto a formule o soggetto a giustificazioni. Nella lettura ciascuno proietta un po’ o molto o a volte tutto di sé, in particolare gli aspetti più nascosti o inconfessati, e più ancora quelli nebulosi, non chiari nemmeno a lui stesso. Di tutto questo non è lecito chiedere un rendiconto: teniamoci dunque il nostro segreto e la nostra rivelazione privata, che solo a noi può giovare, al nostro microcosmo che è sempre e comunque sostanzialmente diverso da qualunque altro. Dei libri che leggiamo parleremo, è certo, anche a voce alta, anche con ardore, o ne scriveremo recensioni perfino ragionate e documentate, ma sarà un parlare della superficie, di ciò che è già chiaro e comprensibile a tutti; il nucleo, ciò che solo noi sappiamo averci smosso dentro e perché, è un tesoro inesprimibile ed è solo ed esclusivamente affar nostro.
Chiudo con un invito probabilmente superfluo:
leggete e diffondete COME UN ROMANZO di Daniel Pennac.