E mandarli tutti a laurà?

montecitorio

Io li chiuderei a chiave in quella dannatissima aula dove bivaccano a nostre spese, sequestrando preventivamente tutto ciò che può portare motivo di distrazione, tipo cellulari, sigarette, walkman, giornali, giornalini, giornaletti, nonché giornalisti e telecamere davanti ai quali esibire come veline la loro scandalosa vanità, e li terrei lì dentro a discutere, contrattare e scannarsi a porte chiuse finché non si decidono a votare sul serio. Non li lascerei morire di fame, no, ma organizzerei il più spartano dei catering, affidandolo alle Cucine Popolari: un piatto di minestra non si nega a nessuno, soprattutto se passato attraverso lo spioncino.
Se ci riescono i cardinali ottantenni in conclave, possono farcela anche i nostri (si fa per dire) politici (si fa per dire anche questo).

Male, anzi male

Non ha vinto nessuno, stando ai numeri. Non in modo limpido e convincente.
Ma sempre stando ai numeri, chi ha comunque perso (oltre al sistema delle rilevazioni, alla legge elettorale, a molte altre cose e in buona sostanza all’intero paese, che pagherà la spaccatura in modi che sarà meglio cominciare a mettere in conto) è lo schieramento di centrodestra, al quale sono stati sottratti un po’ troppi voti perché possa dirsi, se non vincitore, almeno soddisfatto. Dovrà invece riflettere sul fatto che molti italiani, stavolta, hanno espresso chiaramente la loro disapprovazione a un governo abituato a cullarsi nelle sue manie di grandezza e nelle certezze che si procura con una disinvolta pratica clientelare. Stavolta non è bastato, e il gigante vacilla in modo evidente: questo è il risultato più incontrovertibile, anche se poco gioverà all’atto pratico.
Su quei voti in meno (quelli che il centrodestra, secondo gli italiani, ha demeritato) il centrosinistra, seppure zoppicando, è cresciuto fino a un incerto e risicato pareggio, e ora pare in possesso di quello scarto in più (talmente misero da risultare imbarazzante) che tecnicamente gli consegna la Camera.
Una Camera che tuttavia avrà le mani legate e sarà messa sistematicamente nell’impossibilità di deliberare dal prevedibile vendicativo boicottaggio del Senato.
Annamo bene.
E mo’?

Non so voi…

… ma io ne ho abbastanza.
Finalmente domani sarà finita, questa campagna elettorale che poco ha avuto a che fare con la politica e con gli elettori, ma alla quale va riconosciuto il merito di aver dimostrato che il livello di democrazia nel nostro paese è effettivamente molto alto, forse illimitato, dato che in queste settimane è stata concessa la massima libertà a tutto e a tutti. Nessuno è stato privato del diritto di proclamare i suoi sorci verdi e chiunque ha potuto dire la sua nei modi e negli spazi più vari e opinabili. Non ci è stato fatto mancare niente, nessuna censura (meglio: nessuna auto-moderazione, nessun senso della misura, del reciproco rispetto, nessun senso di civiltà insomma) ha mitigato una sola esternazione in quel fiume di spropositi che è stato speso dall’intera classe politica, e da una sua parte più delle altre. Abbiamo potuto assistere in tutta libertà a una insensata fenomenologia oratoria dalla quale la dialettica politica spesso ha latitato per essere sostituita da toni da mercato rionale e da mezzucci da guitti d’avanspettacolo. Quello che ci siamo sorbiti non è stato un confronto di idee e di programmi ma uno show di infimo ordine, con il copione ricalcato su quello di una sceneggiata di pessimo gusto. Non politica, ma schiamazzi. Non politica ma battibecchi da portinaie (le portinaie non si inalberino, è un modo di dire non mio e che non amo ma che uso per praticità), risse da ragazzini in crisi ormonale, chiassate da cortile di quartieri degradati, litigi condominiali, dispettucci da asilo, sbeffeggiamenti da gentuccia, spintoni da maleducati, tutto un repertorio becero e off topic che ha interdetto e umiliato i cittadini costretti a subirlo. I quali avranno anche le loro colpe, perché sottostare così supinamente, con fatalismo tutto italiano, senza indignarsi in modo efficace davanti a tanta barbarie verbale, senza mobilitarsi per estirpare di sotto a certi onorevoli sederi le poltrone di un indebito potere, senza scendere fattivamente in piazza per far sentire la voce del disgusto (come fanno – tanto per dire – i francesi in queste settimane) non fa certo onore a nessuno. Forse è mancata la partecipazione, e prima ancora una più profonda consapevolezza; certo è che la mia sensazione è che il cittadino sia un po’ rimasto a guardare, sbigottito, le meschinità del panorama politico italiano lasciandosi prendere più dallo sconforto che da una concreta ribellione.  
Ma ormai è fatta: con domani si chiude questa pagina maleodorante, e ne usciremo tutti un po’ più pesti di prima, un po’ più curvi sotto una Grande Vergogna. Non ci resta che ricominciare da zero dopo la votazione, quale che sia il suo esito. Ricominciare col piede giusto, riprendendoci la politica e il nostro paese, riprendendoci la vita e la fiducia in un futuro dove la più diffusa aspirazione non sia quella di diventare un ricco imprenditore e/o il presidente di qualcosa, presidente purchessia, anche solo di una squadretta di calcio da oratorio. Rigorosamente senza passare per le tappe intermedie, si intende.
E comunque sta per finire, questa campagna elettorale di buffoni e di ometti da poco. Ancora poche ore, purtroppo più che sufficienti perché ci vengano appioppati gli ultimi scherzi da prete, le ultime gags di insulti, le ultime sparate di astiosità personale e tutte le inqualificabili bassezze che caratterizzano l’attuale contraddittorio politico e sociale, il quale, in buona sostanza, avviene sulla nostra pelle e sopra – un bel po’ sopra – le nostre teste.
Sta per finire questa gazzarra, e avremo un paio di giorni di silenzio e di rispetto per le nostre orecchie, i nostri nervi e le nostre intelligenze individuali, sulle quali tanto scherno è stato profuso.
Ma prepariamoci già, da lunedì pomeriggio, alla ripresa delle ostilità, alle trombonate, alle fanfare e ai fischi, agli insulti e alle bestemmie, alle denunce di brogli (pericolo secondo me reale, non tanto quello dei brogli quanto quello delle denunce), al sarcasmo da quattro soldi, ai ruggiti e alle lacrime da coccodrillo, alla propaganda postuma, alle recriminazioni velenose, a tutto il ridispiegamento del repertorio di bassa lega che ci ha esasperati e mortificati fin qui. Dico solo questo: che non dovremmo permettere ai vincitori, chiunque siano, di perdere un solo minuto del loro mandato in ulteriori chiacchiere, rivalse, sberleffi, sputi in un occhio, pavoneggiamenti e millanterie. Al contrario, sentiamoci tenuti a verificare con la massima severità che si rimbocchino le maniche e scollino dalle poltrone i loro augusti sederi un secondo dopo la proclamazione, e che si mettano immediatamente e seriamente a cercare – lo sapranno loro, dove; li paghiamo per questo – i modi e i mezzi per rispettare le promesse con le quali ci hanno, se non convinto del tutto, trascinati di peso e con la molletta sul naso a votare, consci di essere ostaggio di una scelta dura quale quella fra una destra tracotante e una sinistra spenta. Dovrà essere nostro impegno ricordare loro che abbiamo esercitato questo urgente diritto-dovere non per il loro orticello (che sta già fin troppo bene) né per il nostro (troppo piccolo per essere significativo), ma per quello trascurato, saccheggiato e offeso dell’intero Paese. Facciamo loro sentire il nostro fiato sul collo, e la prossima volta che ci sentiremo fregati, non facciamoci pregare per rimandarli a casa.