Mai senza

Un simpatico articolo sul corriere di oggi dedicato alle borsette delle signore del potere. Forse parlerà di più a noi donne, ma potrebbe divertire anche gli uomini.
La borsetta è (o può essere) un feticcio. Come le scarpe, che pare lo siano sempre. È comunque un biglietto da visita non solo del buon o cattivo gusto di chi la porta, ma un indicatore del suo carattere. La vanità suggerisce dimensioni ridotte stile gioiello, la praticità impone dimensioni extralarge stile trasloco. Apprendo da distratti zapping su articoli – peraltro a me noiosissimi – che parlano di costume e tendenza che è tramontato l’obbligo di abbinare la borsa alle scarpe: oggi fa provinciale, fa vecchia zia. Scarpe rosse? Borsa bianca. Fa crociera. Borsa nera? Scarpe fucsia. Fa festa.
Io sono di quelle stile trasloco e vecchia zia. Tutt’al più gioco di sfumature: la borsa può essere color castagna, le ballerine beige; oppure nera, con ballerine antracite. Purché ballerine. E purché trasloco, perché nelle mie borse devono starci tante cose ché non si sa mai. Quando cambio borsa e ne rovescio il contenuto sul tavolo, scopro cimeli che non ricordavo di possedere e dei quali non ricordo più l’utilità. Fazzoletti o kleenex non fanno parte del bagaglio perché non so cosa sia il raffreddore e non ho nemmeno le lacrime in tasca. Cipria neanche a parlare; obbligatorio invece il burro di cacao e, d’inverno, la crema per le mani, i guanti, un berretto impermeabile. Poi sì, per forza, cellulare, chiavi varie, portafogli, le mentine, un quadernetto con un paio di penne biro, una borsetta pieghevole per la spesa, e se prevedo un’attesa (dentista, parrucchiera) le parole crociate con matita e gommino e il lettore di e-book.
In ogni caso per me la borsa non è uno strumento di vanità ma un’appendice obbligata di me stessa. Non potrei mai uscire senza: mi sentirei nuda, mi verrebbe un attacco di agorafobia. Il mio borsone è la mia stampella contro la timidezza, il mio scudo contro l’imbarazzo, la mia coperta di Linus contro il panico. Funziona meglio del Prozac e dello Xanax messi insieme.
La mia borsa del momento è grigia, morbida, capiente e sbattacchiabile. Ne abbiamo fatte di cose, insieme. Ormai conosce un paio di ospedali, un paio anche di case di riposo, tre supermercati, la biblioteca, il salone della mia (sporadica) parrucchiera, il sedile della mia yaris. Al ristorante devo averla portata una volta sola. E sere fa, per una pizza con amici, le ho preferito quella color castagna perché si accordava meglio con il mio maglione color fango. Però è troppo nuova e non mi ha dato molta soddisfazione: è stata tutta la serata ingrugnita, appesa allo schienale della sedia, e da lì dietro non deve aver visto quanto ci siamo divertiti.
Dove compro le mie borse, è inconfessabile. Sulle bancarelle. Ecco, l’ho detto. O al massimo in saldo in qualche negozio senza griffe. Però, già che ormai mi sono buttata, confesso anche che se mi piovesse dal cielo una Louis Vuitton come quella dell’impeccabile Mme Lagarde, non la rifiuterei. Se poi avessi anche l’indirizzo della sua parrucchiera, credo che potrei dare una svolta – almeno estetica – alla mia vita.