Il treno viaggiava nella notte

Monet_treno

Il treno viaggiava nella notte, solo nella notte.
Tra le stecche delle tapparelle abbassate strisciavano fitte di aria di mare, quella notturna che è più nitida e densa. Al cielo sopra il treno era appesa una lampadina nuda, e il treno viaggiava in tondo nel suo cono di luce; intorno, pareti in ombra rasentate dal suo ronzio.
Luigi dallo spiraglio guardava suo padre di spalle in pigiama, e suo padre guardava il treno girare sul plastico, mentre lei dormiva.
Non era per lei, quel treno senza passeggeri né conducente, né cuoi pregiati né velluti imbottiti.
Era un treno senza fumaioli a pennacchi né inservienti in panciotto; un treno, piuttosto, dove mancavano i sedili e le portiere erano saldate, con le maniglie dipinte sopra. Partiva e tornava al centro di quel vuoto e a un’unica stazione, tettoia rossa e omino di gesso sotto; dopo la prima curva, rasentava un laghetto di stagnola che invece era un mare, e c’erano sul bordo palme di stecchi di gelato e ciuffi di rafia in cima. Poi una salita ma morbida, senza strappi, e un ponte di legno dolce sopra gli stessi binari che tornavano in cerchio, e poi ancora un buco da topolini dentro la montagna, e all’uscita una frana di neve di polistirolo che volava via. La portatrice d’acqua del presepio si fermava sul sentiero del pozzo, e intanto ascoltava le campane del villaggio. Viaggiava ogni notte, il treno di papà, sotto gli occhi disegnati delle pecore di plastilina, sotto il sole di mezzanotte appeso al soffitto.
Luigi respirava sospeso perché il treno non si fermasse, e suo padre soffiava via il pulviscolo dalle colline di cartapesta ma piano, per non far finire la notte e per non svegliare lei, che dormiva nel tepore di un Orient-Express di ottoni e damaschi che invece non partiva mai.

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