Che senso ha?

M.Marieschi - Ss. Giovanni e Paolo

Festeggiare un anno che finisce, dico. Da pochi minuti, un 5 è diventato un 6, e con ciò? Sono convenzioni, niente di più; come i buoni propositi e gli auguri. Convenzioni. Non atti di fede né certezze né conquiste.
Poche ore fa, ieri, ultimo giorno dell’ultima settimana dell’ultimo mese di questo anno, sono stata a un funerale. Scusatemi l’argomento, so che potrà dar fastidio metterlo in tavola accanto a ostriche o zamponi, ma poi tanto finiscono anche quelli: finiscono mangiati, divorati, ingozzati, e le tracce che lasciano non sono ‘sto granché.
Un funerale a Venezia. Bisogna averne visto uno per capire il senso. La chiesa è tra le maggiori della città, ospita tombe di Dogi, mica cazzi. Poca gente, e in età. Fiori, no. Non so perché. Solo un mazzo sulla cassa, chiara. Neanche organo o canti, niente. Un celebrante svogliato, quattro frasi fatte, lesinato perfino l’incenso. Poco impegno, mi è parso; nessuna intensità.
Solo dopo, fuori, in campo, è successo ciò che sempre succede nei funerali a Venezia e che sempre attanaglia il cuore di chi assiste, anche dei passanti; e ce n’erano, turisti invernali, ce n’erano, e sbigottivano nel vedere le manovre complesse per issare la bara su una motolancia e poi farvi salire i pochi familiari. La vita in campo si è fermata per qualche minuto intorno a quei gesti, fino al disormeggio, quando l’imbarcazione si è staccata dalla riva del canale e ha puntato verso la laguna, sparendo sotto l’arco del ponte. Io, rimasta a terra, congelata dentro e fuori, ho cercato di trattenerla negli occhi fino all’ultimo, e anche dopo ho immaginato ogni metro compiuto nelle acque freddissime della laguna, nel tratto da percorrere verso l’isola del cimitero, San Michele dalle mura rosate. Non c’è niente che renda meglio il senso del definitivo distacco che un funerale a Venezia: i nostri morti vengono portati laggiù, su un’altra isola, lontani dalla vita della città. Andarli a trovare è un viaggio, un vero viaggio, il più malinconico che si possa immaginare.
Ecco una cosa che, ieri, è finita davvero.
E la nevicata che è cominciata proprio quando stava iniziando anche l’ultima notte dell’anno ora avrà coperto, più che non potrebbe una lastra di marmo, quella poca terra smossa la mattina, a dare il segno più struggente di una vera fine.

7 thoughts on “Che senso ha?

  1. che dire? scusami ma mi viene da dire bello, perchè è così che dovrebbe essere un vero funerale, la motolancia guidata da caronte che sparisce piano piano all’orizzonte e le anime sull’isola che aspettano il nuovo arrivato.

  2. forse le parole più struggenti che abbia mai letto. e ne ho lette tante.

    spero che dentro di te un tiepido sole ti faccia stare non bene, ma almeno meglio, prima o poi.

    un sorriso

  3. Grazie, Pendolare, ma ti assicuro che non sono affatto giù: è la mia città che è struggente per sua natura. Poi è strano: negli ultimi anni, tutti i miei parenti che sono morti hanno scelto questo periodo, tra dicembre e gennaio, per farlo…

  4. Festeggiare…..restare indifferenti……si, concordo: convenzioni. Null’altro! Non sono d’accordo sull’irrirelanza di un 5 che diventa 6! I numeri sono magici. Hanno in se la magia dell’Universo intero! Lo reggono! Modificano gli eventi! Ne creano altri! Numeri….geometria……struttura morfogenica che sta dietro la realtà stessa, ed è alla base delle stesse leggi matematiche. Molti fisici e matematici sono convinti che i numeri costituiscano il linguaggio primario della realtà. In verità è la “forma” che genera tutte le leggi della fisica.

    A volte viene chiamata “linguaggio della luce” o “linguaggio del silenzio”. Essa è infatti un linguaggio, un idioma attraverso il quale viene creata ogni cosa.

    Namastè, anima turbolenta. :-)

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