Se ben ricordo, arrivasti in ritardo. Come scusa, un problema di spiccioli al parcheggio, che più tardi mutasti varie volte: l’inadempienza della radiosveglia, un contrattempo telefonico, l’invadenza della portinaia, lo sciopero dei benzinai, perfino, se ben ricordo, una pioggia di rane.
Se ben ricordo, avevi solo due ore, forse scarse, e un maglione sportivo da gita, non certo da ufficio, ma non fu di gite che parlammo, e neppure di passeggiate o panchine al parco; in tasca, non il grano per i colombi ma un cellulare che controllasti spesso, più di quanto sogguardassi me.
Se ben ricordo, mi togliesti subito la parola sostituendola con un silenzio su cui galleggiavano informi brandelli di vacuità estranee, come quando parlasti – a te stesso, supposi – della maestra di tua figlia e delle sue paranoie. E io intanto pensavo che era di tua figlia che avrei voluto sapere, e non della sua maestra, ma capivo che anche tu, povero ragazzo padre, avevi una tua faticosa scala di valori, e soprattutto che essa non mi riguardava in alcun modo. In alcun modo possibile, per come avevi messo le cose.
Se ben ricordo, ci fu solo il tempo per un menu vegetariano tra un negozio di dischi e uno di cineserie, e tra una fila di impiegati che entravano e l’altra di quelli che pagavano il conto della loro insipida pausa pranzo, non meno insipida peraltro della nostra. O della mia, comunque.
Se ben ricordo, era di me che contavo parlarti, dirti che ero guarita come da certificato medico in borsetta – che trascurai di mostrarti – e che avevo già da giorni, tre per la precisione e sempre se ben ricordo, sgombrato dal mio comodino boccette ambrate e incensi propiziatori, non si sarebbe saputo mai se e quanto utili. Di un corso per sommelier, volevo dirti, e di qualcosa successo alla mia coinquilina, forse – ecco – che aveva perso l’impiego e tornava a vivere con sua madre.
Se ben ricordo, era maggio e d’improvviso piovve un’acqua leggera calda come di serra, ma durò poco, il tempo di un caffè ma senza zucchero, bevuto in piedi rifugiando gli occhi nello specchio di fronte per non imbarazzarci più del sopportabile, mentre cadevano senza rumore le parole da dire e non dette, per fortuna non dette.
Se ben ricordo, ci furono motivi – una serie di futili motivi – che entrambi a distanza di giorni e poi mesi e anni avremmo considerato sufficienti a giustificare il fatto che fu quella, se ben ricordo, l’ultima volta che ci incontrammo.
Se nel salutarci sul marciapiede degli addii ci scambiammo almeno un bacio – cedendo a una cieca noncuranza come talvolta accade in queste circostanze – questo l’ho dimenticato.
triste….
hey un saluto… e complimenti per il libro!!!!
Delicato e leggero… quando non marquezizzi troppo 😛 mi piace proprio leggerti
la levità di Buccia, che passa ogni tanto e si ricorda dei suoi lettori…
un bel mancato scontro
Ma che, s’è dato così ignominiosamente?!?!
:-O
Gli addii almeno hanno ricordi dolceamari.
I mancati incontri nemmeno quelli.
Un bacio.
Lui, il fondo scuro della tela.
Lei, il soggetto raggiante in primo piano, in un contesto di diparità: lui superficiale, titubante ed insicuro. Lei (troppo) sensibile.
Capita spesso, molto spesso.
Grazie a tutti per la lettura e i commenti carinissimi. Ci tengo a chiarire che il raccontino è del tutto inventato: niente di autobiografico, solo un modestissimo esercizio di stile. Voglio anche scusarmi per i lunghi silenzi: sono indaffaratissima su diversi fronti, ho anzi un paio di impegni nuovi molto gratificanti, uno dei quali è la scrittura di un nuovo romanzo che mi prende molto e che si prospetta lungo e impegnativo. Magari ne parlerò qui appena trovo il tempo. Ogni tanto, ritorno…
E’ proprio quando ci si sente pronti per il volo che si può
pensare di ritornare finalmente alla terra.
blog davvero interessante che rimarca una voglia sterminata di lettura..
Hmmmm…
A rileggerci, allora…
Sperando che il tuo poco tempo ritagli uno spazio per letture altrui…
😉
ciao!!! buon tutto!!!
ndr
bellissimo racconto –ma che sospensione di parole non dette… lascia troppe curiosità!
forse è il caso di provare a rintracciare il tuo libro
Ci scordasti =(
se ben ricordo, qua scriveva Buccia…
se ti dovesse capitare di passare di nuovo qui,,rubando tempo e spazio a qualcos’altro,trattenendo il respiro,addomesticando clessidre,falsificando calendari,dimenticando agende
per caso
se dovessi passare di nuovo qui
dicevo
raccogli il mio saluto
ed io immaginerò di indovinare un tuo sorriso *
Stiamo aspettando anche te…
Amica, perchè ti sei fermata, tanti seguivamo la tua scia luminosa.
Spero che tu stia bene, anzi benone. Un abbraccio forte.
ciao Buccia: guarda che non ci siamo scordati di te e delle tue parole incantate.
Un bacio, Cristina