La strada fra la stazione e il paese è in dolce discesa ma alquanto dissestata. L’abbiamo percorsa al buio, e io sentivo i nostri bagagli sbatacchiare insistentemente malgrado la prudenza del conducente. Dimitri, in pena, si sforzava di scrutare fuori dal finestrino, così come aveva fatto a lungo in treno durante le ore di luce di questo viaggio durato ben due giorni; ma lo vedevo stanco e demoralizzato. Sarebbe stato senz’altro preferibile arrivare di mattina; purtroppo il treno ha accumulato un ritardo spaventoso per via dei molti ostacoli frapposti sulla linea dalle conseguenze delle alluvioni di febbraio. Nel raccomandarcela, il buon professor Leittner ci aveva descritto Magdenbad come una località ridente e spensierata, tuttavia le immagini di gran parte del nostro viaggio hanno messo a dura prova le nostre aspettative. Abbiamo attraversato boschi trasformati in paludi e campagne ancora semisommerse dal fango, dove vagava bestiame affamato e non si vedevano che casupole sfondate in lontananza. Ci ha molto turbato apprendere con i nostri occhi che le notizie arrivate in città erano alquanto filtrate e menzognere: la situazione ci è parsa quasi tragica, certo molto peggiore e più estesa di quanto ci abbiano voluto far credere. Solo nell’ultimo tratto le cose sono migliorate: la regione costiera è stata risparmiata, e i terreni e i villaggi si presentano asciutti e normalmente animati. Durante una sosta per alcune riparazioni, siamo scesi a passeggiare lungo un mercato di ortaggi nel paese di V., trovandovi contadine vestite a festa e chioschi di bevande calde e pungenti. Da un venditore scuro di pelle e accoccolato per terra (portava un turbante, era muto, ci siamo intesi a gesti), ho acquistato una piccola stuoia color magenta e oro, pensando alla veranda di casa mia, che tuttavia rivedrò solo fra parecchie settimane.
La locanda era illuminata e calda; il padrone si è fatto sull’uscio ad accoglierci con le guance – mi è sembrato – rasate di fresco per farci la migliore impressione. Si tratta in effetti di persona affabile e di modi estremamente civili, come se avesse fatto esperienza di usi e linguaggi cittadini prima di ritirarsi quaggiù. Un po’ meno civilizzata appare sua moglie, la sbrigativa Olga, la cui voce non ha appreso il tono moderato e rispettoso che prediligo; del resto, compensa a questi indizi di rozzezza con una confortante efficienza, anche laddove il marito – probabile spirito sognatore – sembra invece talora disperdersi in particolari frivoli e chiacchiere accattivanti, in mezzo alle quali ama infilare a ogni piè sospinto il mio titolo di Signora Baronessa che evidentemente lo inorgoglisce. “Se lui è il fumo, è lei l’arrosto – ha dedotto Dimitri, e me lo ha bisbigliato mentre prendevamo posto al nostro tavolo per la cena, dandomi la momentanea sensazione di un ritrovato humour.
Ci hanno servito cibi sostanziosi, pensati apposta per rinfrancarci dalla stanchezza del viaggio ma poco confacenti alle nostre abitudini e alla nostra disposizione d’animo; abbiamo accettato solo del tè e delle tartine imburrate, mascherando con qualche imbarazzo la nostra svogliatezza. Sembra che il professor Leittner abbia dato accurate disposizioni anche in merito alla dieta che dovremmo tenere, poiché la considera un importante fattore di recupero se opportunamente associata ai benefici di un’aria pura e di un ambiente lontano dagli assilli. Ma come prima sera non ha calcolato appieno il peso delle tante ore di intorpidimento e soprattutto delle forti sensazioni di timore e spaesamento che ci avvinghiano. Anche il vino, la caraffa di un notevole color rubino portata in tavola, è stato rimandato indietro; mi è parso alquanto insolito questo rifiuto, da parte di Dimitri, ma ho voluto vederci un segno di prudenza che fa ben sperare in quel cambiamento di vita che da tempo gli si raccomanda e auspica. Chissà che qua, a Magdenbad, certi suoi fantasmi che lo inducono al vizio svaporino via nel tepore del sole marino, e che si disperdano anche gli altri – diversi ma altrettanto morbosi – che assediano me.
Eravamo desiderosi di ritirarci presto, e mentre Olga ci versava l’ultima tazza di tè le ho chiesto se era possibile prendere un bagno prima di coricarci. Poco dopo ci ha accompagnati di sopra – suo marito, Rubin, ci seguiva come un’ombra rispettosa – e sulla soglia di una stanza ci ha presentato due persone.
“Questa è Lilia – una ragazza dal viso incuriosito e dal petto forte – e questo è Vlad – un omone robusto dai lineamenti marcati e profondamente rugosi – Sono al servizio delle Loro Signorie. Hanno avuto ordine di disfare i bagagli e preparare dell’acqua calda. Per qualunque necessità, garantisco sulla loro onestà e obbedienza. E naturalmente siamo al vostro servizio in tutto e per tutto anche io e mio marito”.
I nostri due nuovi servitori ci hanno salutato, Lilia con una riverenza ingenuamente eccessiva (che dovrò insegnarle a contenere), Vlad giungendo le mani davanti alla fronte e chinando il capo con mitezza: due gesti che mi sono parsi graziosamente affettuosi, più che servili, e mi hanno fatto una buona impressione, tanto che ho rassicurato con un sorriso incoraggiante il mio buon Dimitri, che mi aveva lanciato uno sguardo smarrito all’idea di separarsi da me per la notte accanto a quello sconosciuto. Ma mentre li guardavo allontanarsi lungo il corridoio, ho preso nota che gli stivali di Vlad non fanno rumore, e anche questo mi è piaciuto.
Le nostre due stanze comunicano fra loro attraverso un salottino, e tutti e tre i locali affacciano su una terrazza che mi hanno assicurato essere esposta al più temperato dei climi; le tende erano già tirate, ma Lilia mi ha promesso che domattina di lì entrerà il sole e che vedrò il mare. La camera che occupo non ha raffinatezze particolari, tuttavia è in perfetto ordine e fornita di comodità; vi ho trovato un bel tepore, abbondanza di cuscini, mobili lucidi e capienti, un tappeto dai disegni immaginifici, un letto ampio e dalle coltri gonfie. Le mie valigie erano già state svuotate con inaspettata diligenza; sulla poltrona erano pronti i miei indumenti per la notte, preventivamente fatti riscaldare davanti alla grossa stufa in maiolica bianca, e Lilia mi aspettava sulla porta della stanza da bagno con un flacone di sali alla verbena che aveva accortamente estratto dalla mia borsa da toilette. L’acqua nella vasca fumava, tutto era perfetto.
Volevo restare sola, così mi sono lasciata aiutare a spogliarmi e ho congedato Lilia affidandole i miei abiti da viaggio perché li rimettesse in sesto. Il mio bagno è stato delizioso, molto molto rasserenante; nei vapori profumati si sono sciolti i pensieri cupi degli ultimi giorni, lasciando quasi intravedere speranze più leggere per il mio prossimo futuro. Anche il letto era stato convenientemente riscaldato, cosicché mi sono coricata assai confortevolmente ed esente, mi è parso con qualche certezza, dalla molestia della mia solita tosse serale. Prima di addormentarmi, ho immaginato il mio caro Dimitri, lavato e profumato anche lui dalle cure del suo tutore, rifugiarsi sotto le coperte e chiudere forte gli occhi al buio per cancellare col sonno gli stessi pesi che fuggo io, e nell’oscurità straniera che ci separa e insieme ci unisce gli ho inviato col pensiero la mia buonanotte.