La figlia della levatrice

Da un quadro una storia:
Alfred Sisley – Neve a Louveciennes, 1878

Quella sono io. Bernadette. È la mattina del 31 gennaio 1878. Solo ieri ha smesso di nevicare, e adesso il freddo è ancora più pungente.
Stanotte Mme Babette, la moglie del fabbro ferraio, ha partorito, e mia madre, che è la levatrice, è tornata a casa all’alba. Nel buio che appena si diradava, si è affacciata alla cameretta che divido con la mia sorellina più piccola. Non ha avuto bisogno di svegliarmi: mi sono tirata su a sedere e lei ha sussurrato: “Un altro maschio. Bello grosso. Una faticaccia. Ora mi metto un po’ a letto a riposare”.
Subito mi sono alzata e sono scesa a cuocere il pane bianco per la puerpera. Poco dopo è sceso anche mio padre, tossendo come al solito; si è scaldato il latte tenendosi ancora addosso la coperta, ma sotto era già vestito e pronto per andare alla segheria. Prima mi ha aiutata a infilare un paio di vecchi stivali, perché la neve è troppo alta. Con il pane caldo avvolto in un tovagliolo di bucato e uno scialle pesante sulle spalle, mi sono avviata giù per il viottolo, verso la casa del fabbro. È d’uso portare doni simbolici quando nasce un bambino; tutti in paese partecipano. Ho appena incontrato Mme Marceline, la lavandaia, con il fagotto delle lenzuola del parto e un paio di zoccoli sui quali scivolava sul ghiaccio con la sua mole goffa. Andando di fretta, mi ha detto che era già passato per tempo il curato, per portare la comunione e un santino. Le monache verranno in visita dopo pranzo con il rituale camicino di lino per il battesimo asperso di acqua benedetta, e reciteranno il rosario con la famiglia. La povera vedova Corot porterà le poche uova che troverà nel pollaio in questa stagione, mentre la moglie del macellaio starà già preparando il suo celebre brodo di cappone, e lo speziale ha preannunciato una botticella di vino all’anice. Le cugine Rouault provvederanno al latte e al burro dalla loro ricca masseria, e il conte di Saint-Just, come sempre in queste occasioni, invierà il suo fattore con una piccola provvista di legna da ardere. Domenica prossima, messa grande per il battesimo, e il fabbro, con gli occhi lucidi d’orgoglio come se fosse la prima volta e non l’ottava, offrirà a tutti vin dolce e biscotti d’avena.
Il mio scialle non è poi così pesante, e gli stivali non mi proteggono abbastanza dal freddo, ma mentre mi affretto verso la casa col comignolo che fuma gagliardo ho una fiammella nel cuore. Fra poche settimane la neve si sarà sciolta e il paese ritroverà il suo aspetto di mattoni e tegole rosse. Gli alberi oggi così bianchi rinverdiranno, e spunteranno i nuovi fiori negli orti. Sarà allora che uscirò da casa mia per andare sposa a Jocelyn, il figlio del lattoniere, e se tutto va bene il prossimo inverno parenti, vicini e tutti in paese busseranno in processione alla nostra porta portando doni e meraviglia per festeggiare la nascita del nostro primo figlio.

Ringrazio Luca Massaro che con questo post ha risvegliato il mio vecchio progetto di scrivere storie ispirate a quadri che amo.

4 thoughts on “La figlia della levatrice

    • Sai com’è, non sapendo disegnare scrivo. Per me scrivere è come dipingere, e scrivo quello che vedo dietro le cose, sotto la loro superficie. Come il pittore che vede già un paesaggio sulla tela grezza prima ancora di sfiorarla con la prima pennellata.

  1. Un progetto che devi assolutamente perseguire! Sei molto brava, veramente. Sei riuscita veramente a far parlare il quadro, rendendo tutto in maniera ovattata, come appunto la nev sa fare con le cose. Un abbraccio

    • Il tuo apprezzamento mi lusinga enormemente. Io scrivo di getto, è sempre stato il mio modo di esprimermi più naturale; e come dicevo a MM, mi viene facile esprimermi per immagini. Di queste immagini e di altre fanfaluche da scrivere ne ho parecchie in mente, e continuerò senz’altro questa serie, non fosse altro per l’appagamento personale che mi procura. Grazie, carissima, e un abbraccio anche da parte mia.

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