Ve la do io, la scrittura creativa

Vi dico come è andata. Sono nata in una casa piena di libri e in un’epoca in cui solo pochi ricchi avevano il televisore. Noi ovviamente non eravamo ricchi, se non di libri. Hai detto niente.
Mia mamma era sempre assorbita da altri due bimbi più piccoli e – diciamolo pure – malaticci. Non so se a loro raccontasse le storie; forse erano davvero troppo piccoli, oppure lei era troppo occupata a mescere sciroppi e lavare panni a mano (anche la lavatrice l’avevano solo in pochi, gli stessi che avevano il televisore, suppongo). A me comunque non le raccontava, perché la sera era stanca. Un dato di fatto, non una colpa, intendiamoci.
Ma la solitudine genera fantasia, soprattutto se si ha la fortuna di crescere fra pareti foderate di libri. E fu così che cominciai molto presto a raccontarmele da me, le storie. Ben prima di andare a scuola, con un anno di anticipo, e di aver imparato a leggere, cosa che mi riuscì con la facilità con la quale i pesci imparano a nuotare. Le storie mi nascevano da sole, la sera, dopo che mi avevano fatto spegnere la lucetta sul comodino. Ed erano anni in cui si andava a letto presto, soprattutto chi, non avendo il televisore, non poteva nemmeno accampare la scusa di vedere almeno Carosello.
Così è andata. È andata che ho cominciato a raccontarmi le storie da sola quando avevo cinque piccoli anni, e da allora non ho più smesso. E più avanti ho cominciato anche a scriverle, quelle storie. Prima solo per me, poi a volte anche per altri. Ma sempre così, come mi venivano, come mi erano nate. Tutto qua.
Ora abito in una casa ancora più piena di libri di quella in cui sono nata, e alle mie figlie, che ormai sono donne, ho raccontato storie finché me lo hanno permesso. Ho raccontato loro non di Cenerentola o del Brutto anatroccolo, bensì di Ulisse e Polifemo, e di Jean Valjean e di Cosetta, e di Jane Eyre e Rochester.
Poi un giorno hanno smesso di ascoltarmi e hanno scoperto Beautyful.
Io invece le mie storie me le racconto ancora e per me sono sempre nuove, così ogni tanto mi dico massì, perché no, e le racconto anche a voi.

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