Da un quadro una storia:
Marc Chagall – Il violinista blu, 1913
Noi lo chiamiamo Gelsomino, ma così, tanto per dargli un nome, perché nessuno sa quale sia quello vero. Gelsomino gli sta bene: è un nome mite e sognante, e si adatta a questo omino buffo e senza età che non si sa da dove venga ma passa ogni tanto a trovarci. Appare al momento giusto, con quel suo giacchettino striminzito e, senza salutare nessuno – è molto timido, proprio come un fiore di gelsomino –, si appollaia leggero come una foglia su un muretto o in cima a un albero e comincia a suonare il suo violino. Ogni volta ne esce una voce più dolce di quella del coro dei bambini in chiesa, e le note si arrampicano serene e concordi fino al cielo, inanellandosi al volo delle colombe o ai fiocchi di neve.
Quando in una casa nasce un bambino, si può essere certi di vederlo sul tetto, appoggiato al comignolo, e di sentire una nenia tenera e delicata come il tiepido latte della mamma, come le sue prime carezze.
Quando muore un vecchio, lo aspetta rispettosamente al cimitero, accoccolato su una tomba un po’ più in là, e accompagna le ultime preghiere con una musica piena d’amore e di gratitudine. Non smette mai di sorridere mitemente, anche mentre le lacrime gli rigano le guance.
Ai matrimoni suona delle struggenti Ave Maria a cavalcioni sulla balaustra del coro, e poi alla festa sull’aia fa ballare sposi e parenti al ritmo irresistibile delle sue mazurke.
Il giorno che è finita la guerra ha accolto i reduci dal cornicione del municipio con note impazzite di gioia che hanno fatto dimenticare il fango, il sangue, la fame e l’odio.
La notte che il fiume stava per tracimare ha riscaldato gli sfollati con vecchie canzoni contadine affacciato alla cella campanaria, finché al mattino la piena è passata.
A volte però non viene.
Non è venuto al matrimonio di Mazarina Fabricci Degli Uberti con quell’aitante acrobata del circo molto più giovane di lei, e tutti abbiamo avuto conferma che lui non la sposava per amore ma per soldi.
Non è venuto al funerale del Podestà, e tutti abbiamo capito che non poteva perdonargli di essere un usuraio.
Non è venuto al battesimo dell’ultimo figlio del maestro, e tutti abbiamo intuito che si era accorto di quanto somigliasse al vinaio.
Non viene per tutti, ma solo per quelli che lo meritano, gli onesti, i semplici, i poveri, e quelli disposti a essere felici con poco. Ci fa di questi regali, piccoli miracoli colorati ad acquerello, e poi sparisce senza chiedere nulla. Nessuno sa dove stia nascosto; c’è chi dice nel bosco, ma i bimbi, che hanno buoni occhi e la sanno più lunga dei grandi, dicono di averlo visto levarsi nell’azzurro sopra i tetti, i comignoli e il campanile, librandosi senza peso come un palloncino sfuggito di mano.
Ma che bel racconto, sono proprio contento di leggerti!
Da un quadro una storia potrebbe essere un modo perfetto per far appassionare i bambini (e anche i grandi, come me) alla pittura e alla scrittura.
Felice di piacerti!