Ma davvero non li avete mai visti?

(Marc Chagall: Il Sole giallo, 1958)

Cioè, così sui due piedi non posso dire di ricordare la data esatta. Capisco che per lei, dottore, sia importante sapere quando è cominciato, e aggiungere questo tassello agli altri che meticolosamente sta raccogliendo per redigere la mia cartella clinica. Però, le ripeto, dubito di poter essere precisa come chiede lei. Posso arrivarci, diciamo così, per approssimazione, mettendo in fila con un po’ di buona volontà alcuni punti più o meno fissi del passato e cercando così di individuare una specie di linea temporale, o almeno una serie, anche non troppo ordinata, di paletti fra i quali condurre il mio più lontano ricordo come lungo il percorso di uno slalom, o di una caccia al tesoro.
Il nonno era ancora vivo, su questo giurerei. Doveva avere già avuto il primo ictus, perché me lo ricordo con la bocca un po’ storta e il braccio fiacco, e la nonna strepitava sempre nel vedere che si sbrodolava mangiando. Vecchi e acciaccati, litigavano ancora con la stessa foga e perizia di sessant’anni prima, quando i loro bisticci di sposi li sentivano dai balconi tutti i vicini (e poi sentivano anche le serenate con cui lui la riconquistava a notte fonda, chiuso fuori dal portone).
C’era anche il cugino Rodolfo, ma lui era uno che andava e veniva di continuo, cambiava idea ogni momento, quindi non è certo se in quel momento fosse tornato dal seminario e si stesse preparando a partire per Istanbul, oppure se avesse già fatto fallimento anche lì (aveva messo su un hammam) e stesse progettando di imbarcarsi per Caracas.
La zia Imelda era già vedova, questo è sicuro. Aveva anzi per le mani un nuovo possibile marito, anche se non saprei dire con certezza se si trattasse di quel commerciante di pellami con magazzino in Stiria o del maresciallo in pensione che poi si è ammalato di una specie di lupus ed è morto da solo chiuso in casa come in una tana. La zia in effetti non si è più risposata, ha continuato ad avere sfortuna con gli uomini e alla fine beveva anche molto.
Mio fratello metteva via i soldi per aprire un bar oppure un’officina. Non sapeva neanche lui cosa volesse fare, e nel dubbio è rimasto senza far niente finché è diventato così vecchio da poter andare in pensione, se solo avesse mai avuto quel bar o quell’officina.
In fondo alla strada c’era ancora quello spiazzo incolto che confinava con le vigne del conte Folco e che gli faceva tanta gola, ma il proprietario non voleva venderglielo a nessun prezzo perché non si era mai dimenticato che loro due, durante la guerra, avevano corteggiato la stessa ragazza l’uno all’insaputa dell’altro. Quella ragazza era poi la sorella della mia maestra, che all’epoca si era ritirata in un convento per affari di cuore finiti male, ma dopo un po’ si era stufata, era uscita e si era trovata in quattro e quattr’otto un marito scavezzacollo con il quale si divertiva a correre spericolatamente sullo stradone a bordo di una vecchia moto residuato di guerra. Quale fosse la guerra, non mi è chiaro: la prima o la seconda, o forse un’altra prima ancora o addirittura in mezzo fra le due. Mi scusi, non riesco proprio a essere più precisa di così.
Quindi. In conclusione. In conclusione niente, non sono arrivata a nessuna conclusione.
Quel che è certo è che adesso quel terreno incolto se l’è preso il padrone di una catena di supermercati e indovini cosa ci ha costruito? Un supermercato, bravo. Però ha dovuto aspettare che morisse sia il conte Folco che il suo antico rivale, e questo è successo un bel po’ di tempo fa, ma dopo che il bambino dei Forabosco venisse rapito nella culla dagli zingari durante la festa del patrono, e prima che il Serpio straripasse inondando la Cantina Sociale e le stalle dei Ravazzi.
Non ricordo nemmeno la stagione, pensi lei. Però non credo fosse l’inverno della grande neve, quando restammo per settimane bloccati dietro i vetri con le coperte addosso; era piuttosto la bella stagione, non so se l’estate dell’eclisse di sole o quella in cui la moglie del macellaio si annegò per amore del cappellano.
Ma venendo al sodo, io in tutto questo non so ancora bene dove collocarmi. Ero bambina? Ragazzina? Aspetti, ora che ci penso stavo facendo all’amore col Giuseppe. Già, però il Giuseppe quale, il meccanico di biciclette o il mugnaio? Perché ci ho fatto all’amore con tutti e due, questo è il fatto; prima con uno e poi con l’altro, ma in quale ordine adesso proprio non saprei dirle. Le basta così? Guardi, anche se mi spremo, di più non mi viene. Posso continuare tutta la notte, se vuole, a farle questa cronistoria slegata dei fatti della mia vita, ma se spera che da questo rimestamento bislacco possa saltar fuori qualcosa di certo e sicuro, una data almeno minimamente plausibile, credo proprio che si stia illudendo.
Diciamo, ma molto grossomodo, con beneficio di inventario, insomma a spanna, a occhio, all’incirca che più all’incirca non si può, diciamo che è stato in un lasso di tempo non meglio precisabile tra la posa della lapide ai caduti in piazza e la cresima del primogenito dei Montaguti che si può vagamente collocare il momento in cui tutto è cominciato, come dice lei. Il momento in cui, insomma, li ho visti per la prima volta.
Gli asini.
Volare.
E il guaio, il problema, la malattia, se vuole, non è tanto che continui a vederli ancora, quanto che nessuno mi creda; neanche lei, dottore. Un vero peccato che voi non li vediate, perché sono così belli, così leggiadri, così beati e sorridenti che sembrano proprio angeli.

All’ombra dell’ultimo sole

Devo essermi assopito un attimo. Questo caldo, questa luce del mezzogiorno.
Ma anche mentre dormicchiavo sentivo tutto. Sentivo il ronzio delle api sulle aiole e sentivo le voci dei bambini che giocavano un po’ più in là; sentivo qualcuno sparecchiare il tavolo del pranzo sotto la pergola e sistemare le sedie all’ombra per servire il caffè. Io intanto riposavo, tenevo gli occhi chiusi, semplicemente, e lasciavo andare i pensieri a casaccio, come si fa di domenica dopo mangiato.
Sto bene qui, all’ombra; forse il gelsomino profuma un po’ troppo, o forse non è nemmeno un gelsomino. Forse è il profumo di una donna. Forse è profumo di un dolce di compleanno, dei confetti di un battesimo, dell’incenso di un funerale.
– Come va? I bambini danno fastidio? Adesso li faccio smettere.
Ma no, che giochino pure. La tenda bianca della porta finestra si muove appena, come se dietro ci fosse qualcuno che guarda fuori senza farsi vedere. Questo caldo, questa giornata che non finisce mai. Ho fatto del mio meglio. Il pranzo era buono, leggero, vario, c’era di tutto, ottimo vino – dicono – e una torta con le scritte in oro. Ho fatto del mio meglio, ma non avevo molto appetito. Solo l’idea mi spossava. Ho assaggiato, nulla di più. Ho mangiucchiato guardandomi intorno per intercettare gli sguardi preoccupati, delusi. Ho cercato di tenere da parte un po’ di fiato per la candelina, una sola grossa e dorata, ma sospetto che qualcuno, alle mie spalle, abbia soffiato forte al mio posto. Così li ho fatti tutti contenti, e al partire dell’applauso mi è partito anche un po’ di mal di testa, il solito del resto. È stato allora che mi sono assentato per un po’. Avrei voluto chiedere scusa ma ho rimandato a dopo. Prima avevo solo un assoluto bisogno di riposare un pochino. Ogni cosa, ormai, richiede un lungo percorso di preparazione prima e di riposo dopo. Quello che ho notato, purtroppo, è che fra quel prima e quel dopo i ricordi del passato e anche la percezione del presente svaniscono. Non sono più capace di trattenerli e di assimilarli. Non sono più capace di trattenere e di assimilare nulla.
Ho figli, nipoti e pronipoti. Non di tutti mi ricordo i nomi, sono tanti. Vanno e vengono in casa mia, la conoscono meglio di me; io non me la ricordo quasi più, me la ricordo diversa. Quando c’era la Nini, per esempio. Deve essere lei, quella che smuove leggermente la tenda. Forse aspetta che se ne vadano tutti per raggiungermi in giardino, bagnare i fiori, farmi una carezza. La serata, quella almeno, sarà tutta per noi.
– Papà, noi ce ne andiamo. Adesso l’infermiera ti porta dentro, che c’è più fresco.
Per la verità, io proprio adesso cominciavo a sentire un po’ di freddo. Dite alla Nini di portarmi una coperta. Che si sieda qui accanto a me, che mi scaldi le mani; mentre voi ve ne tornate alle vostre case noi due potremo parlare delle nostre piccole faccende, di come è andata la mia festa di compleanno (“Cento anni, complimenti! La facciamo, una bella fotografia di gruppo?”, mentre io pensavo “Cento anni, di già? Ora si spiega tutto”). E non mi escono le parole, lo temevo; solo si muove vagamente una mano, ma non si sa spiegare, è come un uccello malato che vaga. Cieco.
Ma è solo stanchezza. Cento anni di stanchezza. E poi la stagione, i primi caldi, i pomeriggi lunghi, le notti con i grilli, la nebbiolina dell’alba, il corpo di piombo che fatica a girarsi nel letto. Andate pure, voi, e grazie di tutto. Solo, dite alla Nini se può venire per favore, perché adesso sento molto la sua mancanza.
– Allora ciao papà, e ancora auguri.
Aspettate, mi pareva di avere una cosa da chiedervi. Ma la Nini, poi, l’ho sposata, vero? E dov’è il mio fazzoletto? Abbiate pazienza, è stata una giornata faticosa, mi sento frastornato e allora, sapete, mi vengono dei dubbi. Mi faccio delle domande. Mi guardo intorno per vedere se ho tutto, se ho perso qualcosa, e lo sforzo è inutile. Sono sempre più confuso. Non vale la pena. Andate, andate pure, ci sarà tempo un altro giorno. Fate i bravi, voi, intanto. Io resto qui, non ho bisogno di niente. Davvero.
– Papà? Papà? Mi senti? Oh Dio, papà!
Vi sento, vi sento; siete voi che non potete sentirmi. State tranquilli. Non agitatevi. Sto bene, sto meglio, è tutto molto calmo, sempre più calmo, sempre più leggero, sempre più semplice. Non faccio quasi più fatica. Galleggio, plano, ho imparato a volare. Credetemi, è meraviglioso. 

Nini, sei tu quella luce bianca là in fondo? I ragazzi, sai, li ho sistemati tutti. Ora sono pronto. Se mi vuoi ancora, quando arrivo ti chiederò di sposarmi un’altra volta.

nell’immagine, Gli sposi, di Marc Chagall (1915)

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Questo post partecipa all’eds lanciato dalla Donna Camèl insieme a:
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