Diari da Magdenbad, cap. 8

Manet_spiaggia

I violini e le armoniche di ieri sera, Dimitri me ne ha raccontato per filo e per segno. Erano musicisti passati a brindare da Rubin (“suonano e bevono con la medesima gaiezza“) mi ha riferito testualmente) dopo una riunione per le prove, le prove di una festa popolare che si terrà a giorni. La gente del posto ha questa antica tradizione: celebrano l’arrivo della primavera l’ultima notte di marzo, rievocando una leggenda dei boschi che racconta come siano le fate a decretare la fine dell’inverno scendendo nottetempo alla spiaggia e bagnandosi nel mare. Per asciugare i loro vestiti, vengono accesi falò e ci si danza intorno; ecco la bella gonna nuova di Lilia a cosa è destinata, ed ecco perché i suonatori ripassano sui loro strumenti le ballate del passato.
La popolazione tiene molto a questa ricorrenza, malgrado i preti la condannino per paganesimo e la esorcizzino, il mattino della domenica, con un Te Deum in cattedrale per purificare con benedizioni ortodosse il cambio della stagione. Nelle case si impastano pagnotte dolci nascondendo all’interno un confetto, e il bambino che lo troverà nella sua porzione sarà detto fortunato per tutto l’anno; gli uomini rilucidano gli attrezzi da lavoro e li espongono per un giorno fuori dagli usci, per celebrarne la fierezza; le donne danno aria agli scialli da festa e si pettinano a vicenda con diademi di trecce.
Dimitri si infervorava, nel fornirmi questi e molti altri particolari; quasi che all’avvenimento avesse già assistito, quasi fosse un suo ricordo fiammeggiante. Forse lo riscaldava rievocare i bicchieri scambiati con i musici, ieri sera; questo senz’altro, temo. Ma più ancora credo che si stia figurando la festa con la partecipazione del pittore, che già vede e colora nella mente le immagini solo suggerite e le fa proprie come soggetti di quadri che la sua mano non potrà fare a meno di dipingere. E in effetti mi ha citato certi fiamminghi cui è devoto, dei quali evocava scene popolari affollate e movimentate, ricche di folklore, di dettagli, di colori accesi. Non sono molto esperta, lo riconosco; tuttavia ho sempre visto Dimitri esprimersi in dipinti di dimensioni e contenuti più limitati, come ritratti (alcuni anche miei che amo molto e che mi lusingano di un colorito assai più primaverile di quello che mi è solito) oppure nature morte in cui mette tutta la sua malinconia o ancora paesaggi immaginari rivestiti di poesia e mestizia, che sospetto gli tornino dalle sue memorie strapazzate, dal suo passato randagio in cui i posti e le vedute hanno perso per la strada il nome e la data per trasfigurarsi nei sogni tormentati della nostalgia. Mai gli ho visto dipingere l’allegria, la vivacità, il disordine della vita; mai. Ecco, forse i racconti dei musicisti, ieri sera, gli hanno ispirato il desiderio di inventare una fiaba di fate e faville e balli in costume, da illustrare a modo suo come gli piacerebbe fosse, come vorrebbe viverla. Gli ha risvegliato la fantasia, l’annuncio della festa. E’ un bene, è un piccolo miracolo; mi sono tanto augurata, per lui, un ritorno di energia creativa, e per me la serenità per starla ad osservare.

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