Diari da Magdenbad, cap. 5

Manet_spiaggia

Ieri sera – forse un risentimento tardivo dei disagi del viaggio, oppure l’eccessiva esposizione della mattina al nuovo clima – mi era salita una piccola febbre; non preoccupante, ma tale da indebolirmi le gambe. Mitija è rimasto a tenermi compagnia in camera, dove ci siamo fatti servire un tè che per me ha poi rappresentato anche la cena; lui invece, sebbene dopo molte insistenze e l’assicurazione che Lilia lo avrebbe sostituito, è sceso in sala, dove lo avvertivo attirato non solo da un certo consolante appetito ma anche dalla curiosità di udire meglio una strana musica zingara che saliva da sotto.
Mi annoiavo. Ho detto a Lilia di passarmi, uno dopo l’altro, i pochi libri che mi ero portata da casa, e li ho sfogliati svogliatamente cercando distrazione. Ad un certo punto, ho anche provato a leggerle una poesia francese, ma non è stata una buona idea, perché non avevo riflettuto sul fatto che la povera ragazza potesse ignorare quella indispensabile lingua. Vedendola imbarazzata, ho avuto un’idea migliore: le ho chiesto se avesse per caso qualche lavoretto di cucito da farmi vedere, e stavolta mi è andata bene. E’ corsa a prendere un involto dal quale ha estratto un taglio di stoffa e un cuscinetto di aghi; si tratta di una sottana di panno verde alla quale vuole applicare delle bordure decorative multicolori, e mi ha fatto vedere i nastri e le passamanerie che aveva scelto al mercato. Molto graziosi e variopinti, devo dire. L’ho incoraggiata a riprendere il suo lavoro in mia presenza, e intanto le ho rivolto alcune domande, alle quali tuttavia ha risposto con impaccio e troppa brevità, come succede quando si tenta una conversazione fra persone di ceto diverso. Le scarse cose – e succintamente esposte – che mi ha narrato di sé sono presto dette: di famiglia contadina e numerosa, unica femmina in uno stuolo di fratelli maschi, è stata messa a servizio ancora ragazzina per offrirle qualche opportunità di riscatto dalla scomoda vita di campagna, oltretutto sguarnita di istruzione. Alla locanda Rubin si presta a molteplici mansioni secondo le esigenze stagionali, e ne ricava un modesto salario, variabile anch’esso in base all’entità del lavoro; questo incarico inatteso – occuparsi di un’ospite particolare a tempo pieno – le frutterà una piccola somma settimanale imprevista, e soprattutto le riempirà certe ore di ozio durante le quali la nostalgia di casa le si fa più forte.
Indubbiamente, la modestia del suo carattere, unita a quella che si potrebbe definire la monotonia della sua vita, non si prestano a una vera conversazione, così ho preso la parola io e ho cominciato a raccontarle della città, del viale Granduca Teodoro coi suoi olmi centenari che ombreggiano le austere palazzine, della mia che fra tutte non è la più grande ma nemmeno la più piccola, con il portico leggiadro e le file di finestre e il giardino ornato di statue mitologiche. La piazza con i suoi animati caroselli di carrozze, le ho descritto, e i grandi caffè del centro dalle vetrate appannate, le sontuose pasticcerie affollate di dame, il passeggio davanti alle ambasciate, il parco reale con l’azzurro lago dei cigni bianchi e neri che d’inverno ghiaccia e vi pattinano i bambini; i muri di neve che si accumulano ai bordi delle strade, solcati dagli spalatori che vi aprono vialetti per accedere ai cancelli; le facciate imbandierate dei Ministeri, presidiati da guardie reali in uniforme rossa e blu che si danno il cambio tre volte al giorno sotto gli occhi ammirati di patriottici cittadini, il cannone che dall’altura del castello segna sonoro il mezzogiorno, mettendo in fuga i piccioni dai sagrati delle basiliche, che subito vi tornano a posarsi, trovandovi a tutte le ore il becchime secondo le caritatevoli disposizioni lasciate in testamento dalla compianta principessa Sofia… Nell’udire questo nome, la figliola ha rialzato vivacemente il capo dal suo cucito per annunciarmi che il maggiore albergo di Magdenbad proprio di lei porta il nome: “Prinzess Sofia”, c’è scritto sulla facciata, in lettere d’oro, e d’estate è frequentato dagli ospiti più lussuosi che vi si dedicano a frequenti balli e tornei di tiro con l’arco. Si è deciso che passerò a visitarlo quanto prima, anche se solo dall’esterno poiché in questa stagione rimane chiuso; ma forse potrei essere ammessa a una passeggiata nel parco, dato che i lavori di ripristino sono cominciati in questi giorni, e uno dei fratelli di Lilia vi partecipa nella squadra dei falegnami.
Quando, più tardi, è passato a salutarmi un Dimitri di umore ancora acceso come la mattina, gli ho accennato al programma, e lui, prima di congedarsi per lasciarmi riposare la febbricola in un buon sonno, mi ha anticipato per l’indomani il resoconto di una serata che deve averlo alquanto divertito. Grazie anche a una tisana che mi ha mandato di sopra l’accorta signora Olga, mi sono addormentata avvolta da un confortevole abbraccio di dolcezze domestiche, come se qua già mi sentissi ambientata e pronta ad approfittare, giorno dopo giorni, delle gioiose sorprese di una nuova vita.

One thought on “Diari da Magdenbad, cap. 5

  1. ciao. io dovrei leggerti, e attentamente… ma per ora vorrei solo ringraziarti (leggerti, lo so, sarebbe ben di più). beh, allora intanto grazie, e a presto. ni.

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