I diritti del lettore secondo Pennac # 2, 3

Sempre dal decalogo degli Imprescrittibili Diritti del Lettore secondo Daniel Pennac:

2. Il diritto di saltare le pagine

Sì sì, è vero, questo è un diritto inebriante, una volta che si sia preso coscienza che non è un dovere morale leggere parola per parola un trenta-quaranta pagine di fila di sole descrizioni di paesaggi o elucubrazioni cervellotiche che non siano inconfutabilmente funzionali alla vicenda.
Gli sbrodolamenti, i fronzoli superflui, le disquisizioni accademiche, ma in genere tutto ciò che tende a rallentarci il ritmo di lettura, ad allungare il brodo e a collocarsi nella categoria volgarmente definita “delle seghe mentali”, ci è lecito tagliarli prima che ci privino del piacere di finire un libro che magari per molti altri versi è valido.
O l’autore preferirebbe che, presi da sfiducia e sbadigli, mollassimo tutto?
Un lettore che salta le pagine – a meno che non sia per colpevole pigrizia – andrebbe preso molto sul serio dallo scrittore in questione, perché se lo fa non può essere che per un motivo: la noia. Lo scrittore probabilmente non si rende conto di avere scritto quelle trenta-quaranta pagine di noia. Per lui erano pagine profonde, magari liriche, magari così rifinite da ritenerle il clou dell’intera opera; ma se il lettore le salta perché ci si annoia, perché gli pare che siano ininfluenti, perché a lui non dicono niente, lo scrittore dovrebbe rifletterci. Può significare che quelle pagine saltate, scartate, in pratica rifiutate, contengano solo messaggi personali che l’autore invia a se stesso, uno scambio di complimenti fra sé e sé, un esercizio di vanità privata che si trasforma in una pubblica incomunicabilità. Quando cioè lo scrittore scrive solo per se stesso e perde di vista il suo lettore, quest’ultimo, che è molto più obbiettivo, se ne accorge, ci resta male e lo punisce.
Saltando le pagine.

3. Il diritto di non finire un libro

Ah sì: il lettore è tristemente consapevole che non gli basterà una vita per appagare la sua smania di lettura, perché leggere non è una professione remunerativa ma una necessità privata che richiede tempo e condizioni ambientali favorevoli, due requisiti sempre troppo difficili da trovare. Liberarsi dalla falsa idea che portare a termine un libro, anche se non piace, sia un obbligo morale è un comportamento di semplice e sacrosanta autodifesa. Rifiutiamo questa coscienza ligia e miope e abbracciamo senza rimorsi la fede della libertà di accantonare, che ci eviterà la frustrazione di spendere il nostro poco tempo al servizio devoto di un’autodisciplina senza scopo, ma al contrario ci permetterà di riservare la dovuta accoglienza ad altre letture, più soddisfacenti e convincenti.
Un libro non finito non è un libro cestinato, non lo bruceremo né lo cancelleremo dalla mente: lo terremo parcheggiato sotto gli altri, giusto un po’ in disparte, nel baule delle cose lasciate a metà (ne collezioniamo tante ogni giorno, in fondo), ad aspettare, magari inutilmente ma non è mai detto, che ripassi il suo momento e che noi lo sappiamo riconoscere.

One thought on “I diritti del lettore secondo Pennac # 2, 3

  1. Il diritto di saltare le pagine: porto il mio esempio personale. Come lettore volontario di manoscritti mi capita spesso di saltare le pagine. Il fatto è che qualcuno degli scritti che devo recensire è davvero illeggibile, ma tocca sapere comunque come finisce, perchè chi lo ha prodotto aspetta ugualmente un mio giudizio…

    Con i libri pubblicati non mi è mai successo di saltare le pagine: mi capita invece, e la prendo come una specie di sconfitta della mia capacità di scegliermi le letture, di abbandonare il libro. Dovrei anche avere un post sul mio blog sull’argomento “libri abbandonati”, ma non ne sono sicuro.

    Confermo la presenza di una sindrome da “obbligo di arrivare in fondo”. Liberarsene è duro, ma necessario. Però tutti quei libri non finiti, lì, sulle mensole… i loro sguardi di rimprovero…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.


*