Lettere dal fronte .1

Cara sorella,
anzitutto non allarmarti se scrivo su carta intestata del Tribunale. Non mi sono cacciato in nessun nuovo pasticcio, è solo un regalo che ho ricevuto dalla vedova Maladroit (un cognome molto imbarazzante per un notaio, non trovi?) e che mi fa molto comodo. Lui poverino è morto la settimana scorsa per cancrena diabetica a un piede, e negli ultimi tempi gli avevo portato la morfina che era l’unica cosa da fare. Noi quassù in trincea di morfina ne abbiamo in quantità e devo dire che fortunatamente non ci serve. Stiamo tutti bene. Qualche cazzotto quando si è un po’ ubriachi, tutt’al più: niente che non si aggiusti con un impacco di neve sui lividi, e qui abbiamo in quantità anche la neve.
Il corso di infermiere che mi hanno fatto fare prima di spedirmi al fronte è stato finora abbastanza inutile: qua da mesi non succede niente e nessuno ha bisogno di me, perciò ho chiesto di aiutare un po’ in cucina per tenermi occupato. Il guaio è che mentre aiuto non mi trattengo dall’assaggiare, così sto ingrassando. Qua si mangia meglio che in prigione, te lo assicuro: ho fatto un ottimo affare a offrirmi volontario, così mi hanno messo fuori e mi hanno dato due stracci, qualche lezione di pronto soccorso e la libertà di salvarmi le chiappe standomene ben riparato dentro una trincea.
Ho talmente tanto tempo libero che ti voglio comunicare con soddisfazione che ho cominciato a scrivere un romanzo, e sono già a buon punto anche grazie alla carta intestata della vedova Maladroit. Sarà un romanzo pornoautobiografico ma anche tutto inventato, e farà molto ridere ma anche riflettere. Il tenente ha letto qualche pagina e dice che ho la faccia tosta necessaria stoffa.
Il nemico tace. Sta di là dalla terra di nessuno, inzaccherato e trincerato come noi, e come noi non ha niente da fare perché ordini non ne arrivano. Siamo bloccati da mesi, in attesa che i generali si mettano d’accordo su quali siano i criteri per lanciare un attacco di sorpresa. Per sorprendere il nemico bisogna attaccare quando meno se lo aspetta, per esempio se c’è nebbia che non si vede a un passo, o neve che ci affondi fino alle ascelle; non se lo aspetta neanche di notte, ma noi di notte dormiamo; né in pieno giorno con la migliore visibilità perché sarebbe da coglioni suicidi e noi mica ci teniamo a morire così facilmente. E allora, per un motivo o per l’altro, l’ora X non arriva mai e noi continuiamo a stare qua, a giocare a carte, a fraternizzare con gli abitanti del paese giù a valle e a pelare patate per il gratin dauphinois.
Ora mi interrompo perché è arrivato il mulo della posta e voglio consegnargli questa lettera, ma domani ti scrivo ancora.
Io qui tutto bene e così spero di te.
tuo fratello al fronte
Damien

poscrittum: mi dispiace che mi scrivi che è morta la vecchia Alphonsine, la nonna del cognato del cugino del canonico, ma non credo di averla mai conosciuta. L’unica Alphonsine che mi ricordo è un bel pezzo di figliola una distinta signorina di Marsiglia che mi aveva giurato di avere ventidue anni ma secondo me erano cinque o sei di meno. E forse non si chiamava nemmeno Alphonsine.

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Lettere dal fronte 70 anni dopo

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